Spesso i conti del locale faticano a quadrare: le spese fisse sono sempre più alte e il personale qualificato costa. La via in apparenza più semplice per risolvere il problema è chiedere un ribasso dei prezzi ai fornitori, caffè incluso. Col probabile risultato di abbassare la qualità proposta: “Tanto il cliente non se ne accorge”, sembra pensare qualcuno. Un’affermazione quest’ultima che deve destare non pochi dubbi, considerato il calo dei consumi al bar cui abbiamo assistito negli ultimi anni. Colpa della recessione si affrettano a dire in molti. Forse, ma se così fosse non si assisterebbe al fenomeno inverso nel mercato domestico, dove il consumatore è disposto a pagare un costo superiore di 7-8 volte a quello speso con la moka pur di gustarsi una tazzina ottenuta da una capsula, che a detta di molti dà un risultato decisamente più apprezzabile. Insomma, il discorso esclusivamente economico non sembra reggere.
No al caffè a 50 centesimi
Tanto che anche l’ulteriore mossa al ribasso che alcuni baristi hanno messo in pratica, ovvero l’omologazione, del tutto teorica peraltro, tra costo della tazzina di espresso a quella della capsula, ha le gambe corte. Ha fatto parlare di sé di recente il caso de “Il mio bar” di Sesto San Giovanni, alle porte di Milano, che ha deciso di venderla a 50 centesimi, un fenomeno presente, sebbene non diffuso, in tutta Italia. Il ragionamento di fondo è “il prezzo è equo, gli espressi erogati aumentano e i profitti non ne risentono”. Ma se il barista si toglie il grembiule per vestire i panni dell’imprenditore si accorge che i conti, soprattutto se inquadrati in un contesto generale, proprio non tornano.
La catena del valore
I dati della catena di valore della tazzina di espresso, di recente aggiornati da Fipe mostrano come dagli 0,02 euro di costo per il crudista si passa a 0,14 euro per il torrefattore (con un aumento di nove volte) fino ai 0,96 per il bar, con un incremento al consumatore finale di ben sette volte. Per le Associazioni dei consumatori è un ricarico altissimo, che offre ampi margini di guadagno e permette di opporsi a qualsiasi aumento. Ma è di nuovo Fipe, che nella ricerca “I veri conti della tazzina di caffè al bar” del 2013, evidenzia come, tolto dall’incasso il prezzo del caffè torrefatto, quello del lavoro, di affitti, utenze e altri costi di gestione, al barista rimane un utile lordo di 15 centesimi che moltiplicati per le 171 tazzine medie vendute al giorno non permette di certo lauti guadagni.
Volumi in crescita
I dati diffusi pochi giorni fa ne “L’Italia in una tazzina - I nuovi dati Fipe sul mondo del caffè” mostrano piccoli segnali di ripresa: la vendita giornaliera è passata da 171 a 175 tazzine e il prezzo medio è cresciuto da 0,94 a 0,96, con picchi di 1,07 euro a Bologna, Rovigo, Ferrara e Bolzano.
Il maggior consumo si ha nei lunch bar (220 tazzine al giorno) seguiti dai morning bar (202) e dai bar non specializzati (200). Un momento focale è la colazione consumata in bar/caffè (92,7%) e bar/pasticceria (58,3% - gli intervistati hanno potuto dare risposte multiple), consumando una bevanda (caffè, latte, cappuccino, tè) e qualcosa da mangiare per il 73,5%, solo un caffè (18,8%).
In questo contesto è importante non mettere in saldo il caffè che oggi rappresenta il 30% del fatturato complessivo dei bar italiani. Perché, come dicevamo poco fa, svendendo il prodotto i conti non tornano. Qualche calcolo? Vediamo.
Prendiamo il caso di un locale che venda ogni giorno 2 chili di caffè pagato 18 euro, a 1 euro a tazzina: incasserà 280 euro che, tolto il costo del caffè, daranno un ricavo lordo di 242 euro da cui togliere le voci relative alle spese viste in precedenza.
Logica vorrebbe che per chi vende alla metà (come nel caso dell’espresso a 50 centesimi invece che a un euro) possa bastare un volume doppio per recuperare margini, ma non è così: 4 chili di caffè, pari a 560 espressi, danno un ricavo lordo di 204 euro (ovvero il numero dei caffè moltiplicato 50 centesimi e detratto del costo del caffè), dai quali però va sottratto una cifra più importante della precedente relativa ai maggiori costi di energia elettrica per il funzionamento della macchina espresso, del macinacaffè e della lavastoviglie, un maggior consumo d’acqua e, considerato il quantitativo di produzione per lo più in poche ore, magari il compenso di una persona in più al banco. Considerata l’incidenza minima del costo del caffè, non dà nemmeno particolari risultati puntare su miscele economiche per promuove l’espresso low cost.
La soglia psicologica
Il prezzo medio della tazzina si avvicina all’euro e al contempo si coglie la difficoltà nell’andare oltre quella che appare una sorta di “soglia psicologica”. Giusto superarla? I pareri - lo vediamo anche tra le risposte degli esperti riportate in queste pagine - sono discordanti; è importante comprendere come è possibile innalzare il costo senza scontentare il cliente. Spesso l’espresso è un “calice” anonimo . Sul cosa c’è dentro a volte nemmeno il barista sa rispondere.
Un primo mezzo per dare valore all’offerta è formarsi, per conoscere e proporre il prodotto nel modo più corretto. E se nelle ore di punta non c’è tanto tempo per parlare, cartelli e lavagnette possono fornire le informazioni di base (e magari anche qualche nozione più approfondita).
La tazzina deve proporre un’esperienza di gusto piacevole che faccia percepire una differenza tra quanto offerto nel proprio locale e quanto proposto dai locali vicini. Ha una parte importante anche la cura dei particolari, dal flussare i gruppi al pulire bene i filtri e la lancia vapore. E se ormai è un’abitudine a casa, è bene anche per il bar offrire diverse miscele o la miscela di base e una o più singole origini (da proporre anche a un costo maggiore), da servire e raccontare con cura.
Creare valore aggiunto
Conoscere e appassionarsi del caffè è un passaggio obbligato per chi vuole proporlo con criterio e a un prezzo diverso: il cliente coglie e condivide quella passione e gli diventerà difficile rivolgersi a un altro locale. Si tratta di un cammino impegnativo, ma gli esempi positivi non mancano e sono soprattutto i giovani i motori di questa lenta rivoluzione che sta dando spazio anche agli specialty, con la loro personalità spiccata e un costo importante. I bar che li propongono sono pochi, ma di nuovo stanno crescendo, grazie a piccole torrefazioni la cui sfida competitiva è basata sulla ricerca dei migliori caffè e a un’offerta che all’espresso unisce diversi metodi di estrazione.
Conoscenza, ricerca, cura del dettaglio, materia prima possono far “lievitare” il prezzo della tazzina “base” oltre ciò che abbiamo definito soglia psicologica fino a un euro e cinquanta centesimi. I numeri di chi “osa” questo prezzo al banco dicono che, con un po’ di impegno, si può fare.
Il ragionamento non fa una piega. Chissà perché all’estero il caffè costa non meno di 2/2.20 €. Tralasciando il discorso della qualità, in molti paesi hanno capito che i costi fissi di gestione di un’attività sono raddoppiati rispetto a un decennio fa!!
Il caffè una volta copriva il grosso dei costi fissi, oggi non più!!
Io ho passato un anno fa il caffè a 1.10€ ma il prezzo giusto sarebbe 1.50€.
Una volta il caffè, a Rimini almeno, costava 1600lire, al cambio 0.83€ e seguiva pari pari il prezzo dei quotidiani nazionali. Adesso, dopo tanti anni, il prezzo ha subito un leggero adeguamento, mentre i quotidiani costano molto di più.
Buona serata a tutti.
colpa dei torrefattori, ai quali fa piu comodo vendere prodotti scadenti a prezzi bassi, piuttosto che investire in ricerca e qualità per dare al barista cultura sul caffè da trasmettere ai clienti. Ben venga l’espresso a 1,50 se dall’altra parte pero’ non si usa la differenza solo per aumentare i guadagni ma si va alla ricerca di miscele pregiate che possono dare al cliente un’esperienza migliore. Solo con questo potremmo salvarci dall’avvento delle multinazionali, con un caffè migliore, piu digeribile, che non brucia lo stomaco. questa è la mia opinione, penso condivisa da pochi del settore.
Vorrei esprimere il mio disappunto per come la categoria esprime il suo profilo professionale. Se avesse ragione chi promuove un prezzo uguale (in tutta italia?) per correttezza vorrei comprare un completo di Armani al prezzo di un vestito prodotto in massa. Chi affronta il lavoro duro e impegnativo dello speciality ha diritto a una renumerazione importante slegata dall’offerta, in quanto al cliente non arriva “solo” un caffè ma un esperienza gestita da un operatore che si assume anche la responsabilità. Chi punta al prezzo ne ha diritto a farlo, ne pagherà il prezzo (appunto). Perchè in Italia professionalità e merito non contano nulla?
mi perdoni ma sono pochi i baristi che davvero sono capaci di far arrivare un’esperienza al cliente, mi piacerebbe davvero conoscerli uno ad uno, perchè la considererei un’esperienza personale anche io… purtroppo in italia non si è ancora capito che l’unico modo per salvarci è puntare su queste persone, e sulla qualità del prodotto, spesso ci si interessa solo a risparmiare, perchè, dicono “tanto la gente non capisce nulla”. Posso anche essere d’accordo con loro, ma la colpa è di torrefattori e baristi, che non si preoccupano di vendere un’esperienza, bensì solo di vendere.
Si diceva la stessa cosa quando il caffè era a 60 centesimi e si prometteva la qualità nel portarlo a 1 Euro. Ora è a 1 Euro, ma la qualità non è aumentata…
[…] value of a cup of coffee is the result of a sum of specific costs. According the Italian magazine BarGiornale, basing on the data of FIPE (Italian Federation of Public Restaurants and food outlets), in Italy […]
Alla fine è il barista che non vuol spendere perché DEVE GUADAGNARE PER SOPRAVVIVERE. Sarà un cane che si morde la coda e quando scoprirà l’infezione sarà troppo tardi.
Buonasera,
circa un mese fa, ho espresso anche io le mie considerazioni in fatto di prezzi di caffè, non è stata pubblicata, non importa, ma quello mi lascia insoddisfatto è la seguente espressione.
Ho due locali con caffetteria affermata. Il caffè nel primo costa € 1.00 e nell’altro € 1.10, mentre le normali bibite, tra cui la popolarissima di cui non faccciamo il nome hanno un prezzo che sfiora i €3.00. Il nostro costo finito di un caffè lo conosciamo tutti, come quello di una bibita che è di circa € 0.50.
Come facciamo a sostenere una disparità di utile tra i due prodotti così a dir poco esagerata?
E poi ancora, perchè letteralmente cediamo un prodotto must in Italia a tale prezzo ad un’adulto medio e poi ci rifacciamo sul ragazzino con pochi soldi in tasca, che sarà il nostro cliente di domani, che vuole una bibita?
La provocazione è questa:
Baristi tutti invertiamo i due prezzi?
Naturalmente è impossibile, ma a mio parere finanziariamente non sbagliata.
Con tutto il rispetto chissà cosa ne pensa il Vostro direttore?
Grazie per l’attenzione.
Daniele Ghelma