Un ristorante pluristellato e il suo cocktail bar, un corso per l’happy hour da gourmet e una banca dati del gusto fatta per barman e per chef. Mai come in questi tempi, c’è feeling tra bar e cucina
Baristi che entrano in scivolata in cucina per strappare un foglio di colla di pesce. Cuochi che, stanchi della solita frusta, s’infatuano del gallone. Professionisti del bancone che vanno a tutto gas con il cannello da pasticceria e cuochi stellari, come Paco Roncero de La Terraza del Casino di Madrid, che trasformano il Campari Orange in un raviolo liquido. Altro che semplici punti di contatto tra sala bar e cucina, qui si tratta di vere invasioni di campo. Esattamente un anno fa davamo l’annuncio che Ferran e Albert Adrià, terminata l’esperienza del celebre ristorante di cucina creativa noto come elBulli, inauguravano a Barcellona un locale dalla doppia anima: di qua il cocktail bar 41 grados, di là il gastrobar Tickets. Oggi la notizia è che Ferran Adrià spedirà i suoi barman a lezione di miscelazione molecolare da Dario Comini del Nottingham Forest di Milano.
Tre stelle anche al banco bar
E adesso, toh, scopri che anche il tre stelle Michelin “Da Vittorio” ha messo in pista un servizio di cocktail sartoriale per la sua clientela cosmopolita. Per vederci chiaro: ne abbiamo parlato con Alessandro Zana, il bar manager. L’appuntamento è a Brusaporto, sulle colline di Bergamo, sede del ristorante, del Relais & Chateaux e di un boutique bar, dalle piccole dimensioni ma dai grandi contenuti. La miscelazione proposta da Zana è classica, elegante, nei modi, nei gesti e negli ingredienti. C’è però qualche incursione in cucina con preparazioni come l’Oyster Tonic: un’ostrica a bagno in una gelatina di Gin Tonic. «Fino a poco tempo fa puntavamo a un aperitivo con le classiche bollicine poi, vista la domanda degli ospiti stranieri, abbiamo dato spazio a cocktail classici, ma personalizzati. Nel senso che ogni cliente ha il suo vestito e noi dobbiamo essere in grado di abbinare la miscela giusta». Il più delle volte si tratta di antiche memorie della mixability. I drink più richiesti vanno dallo Champagne Cocktail al Martini Cocktail.
Zana non si sbottona più di tanto. Nonostante i suoi 37 anni, ha l’aplomb di un barman d’altri tempi, ma ci fa intuire che qualcosa stia bollendo in pentola tra lui e gli chef Enrico e Roberto Cerea. Diamo uno sguardo alla bottigliera e, in mezzo a tanti prodotti premium, l’occhio casca su un gruppetto di infusioni e preparazioni homemade. Tipiche di chi padroneggia le tecniche elaborate dai cosiddetti bar chef, figure emergenti nel mondo della cocktailerie, ma che stanno conquistando legioni di appassionati.. Detto questo, siamo sinceri: quello tra bar e ristoranti è davvero un sodalizio possibile? «Inutile nascondersi dietro un dito - ammette il bartender Alessandro Zana -. Tra sala bar e cucina c’è sempre stato un rapporto conflittuale. Una rivalità quasi calcistica, come tra Brescia e Atalanta. Chi ha superato quest’atteggiamento provinciale ha ottenuto invece risultati straordinari. Si prenda il settore dell’hotellerie. Nelle più blasonate strutture, come il Ritz di Parig o il Savoy di Londra, da una convivenza forzata tra bartender e chef si è passati a un rapporto più rilassato, in alcuni casi sinergico». Dushan Zaric e Jason Kosmas, alla guida dell’Employees Only, tempio moderno degli speakeasy di New York, hanno sottolineato che dietro l’esplosione recente del fenomeno cocktail, quella che in termini orafi viene definita l’Età del Platino della miscelazione, assistiamo a un rapporto di collaborazione più complice tra cucina e bar. Si pensi ai tanti ristoranti americani che hanno sacrificato qualche tavolo per fare posto a una zona bar. Perché il drink, da certe parti, sta diventando parte di un’esperienza gastronomica completa. Certo, qualcuno obietterà che l’America non è l’Italia e che nei Paesi anglosassoni accompagnare un pasto con un cocktail al posto del vino è all’ordine del giorno. Ma tant’è, se è vero che le mode arrivano spesso da Oltreoceano o da Oltremanica, bisognerà attrezzarsi.
Abbinamenti a prova di scienza
A riguardo, un altro capitolo interessante è quello del food pairing. All’ultima edizione dell’Italian Open Flair abbiamo degustato una ricetta curiosa ed equilibrata. Avete letto bene “flair”, quello che qualcuno si ostina a definire uno sport per lanciatori di bottiglie. La ricetta è stata presentata da Alessio Cioccolini ed è interessante per almeno due motivi. Primo, il barman si avvale di un ingrediente del suo territorio (l’asparago); secondo, sfrutta una combinazione inedita ispirata dal sito foodpairing.com. Per chi non la conoscesse è una banca dati della Rete dalla quale si ha accesso al profilo organolettico di oltre mille ingredienti. Il blog mira a ispirare nuove combinazioni di alimenti: cosa si sposa bene con Caio o con che cosa posso sostituire l’ingrediente Tizio di un classico. Un esempio: volete sapere con che cosa si combina il Tequila, ma non conoscete fino in fondo il profilo del distillato? Invece che sperimentare, e sprecare prodotto, digitate “tequila” nel motore di ricerca. Tra i risultati apparirà una lista di vegetali (asparago, pomodoro ecc.), erbe e spezie (cannella, senape, menta piperita) e frutta (licci, uva, mango). A fianco di siti unici come questo stanno crescendo anche i corsi specifici sull’argomento. Ultimo, in ordine di apparizione, è quello di Pbs Academy (pbsacademy.com) di Torri di Quartesolo (Vi). Nella presentazione del corso “Cocktail Gourmet” troviamo spunti che fanno riflettere. Nella premessa per esempio si dice che recenti studi sulla ristrutturazione dell’offerta gastronomica hanno evidenziato bisogni formativi nel campo della ristorazione da bar troppo spesso lasciata all’improvvisazione.
Per far fronte a questa lacuna il corso promette di valorizzare l’abbinamento tra cocktail, appetizer e piatti di cucina, riprendendo studi, esperienze e movimenti già ben affermati all’estero e raggruppati sotto l’etichetta “Cocktail & Food Pairing”. Le lezioni esplorano le potenzialità di accostamento tra cocktail e gastronomia da bar, tenendo in considerazione la grande duttilità del cocktail. Tra i casi sotto esame gli antipasti e i cocktail; gli abbinamenti tra cucina messicana e la famiglia dei Margarita; i Martini Cocktail e l’accostamento con le ricette a base di pesce. Da dove nasce l’esigenza di proporre un corso di questo genere, tenuto tra l’altro da due esperti nelle rispettive arti come Stefan Mussye (pioniere dell’american bartending in Italia) e Nicola Michieletto, chef affermato e dalla penna facile in materia di ristorazione?
Probabilmente dal dare un senso nuovo e più completo alla cultura dell’aperitivo con buffet, quel genere di proposta che per ragioni di opportunità semantica è stata chiamata happy hour. Anche se, con l’happy hour anglosassone, quello del “prendi due porti via tre”, non ha niente a che vedere. Nell’ordine, a partire dalla metà degli anni Novanta, abbiamo assistito alla seguente parabola: nascita dell’happy hour detto “alla milanese”; diffusione (buffet pantagruelici); ritorno al classico trittico olive, nocciole e patatine e infine, siamo a oggi, con la moda degli stuzzichini ricercati.
Combinazioni ragionate
Al Rita di Milano, l’eccellente proposta di cocktail di Edoardo Nono è accompagnata da un’altrettanto interessante offerta di amuse-bouche dello chef Gianluca Chiaruttini. Per i suoi cocktail esotici Daniele Dalla Pola, autore di “Exotic Cocktails - how to make tropical drinks” (Città Inedita editore, 112 pagg., 24 euro), ha abbandonato i cliché per fare posto a una selezione di specialità gastronomiche hawaiane detti “Pupu”. Me ne rendo conto, suonano scurrili in italiano, ma calzano a pennello per un Tiki Party a base di Mai Tai, Blue Hawaii o Missionary’s Downfall. Anche Alessandro Zana di Da Vittorio può vantare, e ci mancherebbe, proposte di alta qualità. Sul suo banco non troverete olive o patatine, ma alcune chicche firmate Cerea come i mini hot dog e i mini Mac, i lecca lecca al parmigiano e i cornetti di olive nere con mousse di caprino.
Utile per tutti i curiosi del settore alimentare