A tu per tu con… Stefania Turato

Stefania Turato
Stefania Turato
Assortire, conservare, esporre, presentare, informare, fidelizzare, proporre. Sono le parole chiavi che stefania turato, sommelier, usa per parlare di vino al bar

Vino protagonista al bar? Lo è già. E in vari modi. Dal più modesto “bicchiere” di una volta al più nobile “calice” il vino al bar è di casa da sempre. E lo è in vari modi. A volte anonimo, a volte nobilitato da un’offerta più completa, il vino al bar ha la possibilità di crescere sia in termini di assortimento, sia in termini di qualità. Dar vita a un’offerta strutturata e che sappia soddisfare il cliente durante un aperitivo o nel pranzo veloce de mezzogiorno non è complicato. Basta seguire alcune semplici regole che seguono ovviamente criteri legati al gusto, e, ovviamente commerciali. Queste regole ci vengono raccontate da Stefania Turato, sommelier ed esperta nel settore beverage, miscelazione compresa.

Come giudica l’offerta vino oggi nei locali italiani?

«A me non piacciono le carte dei vini sterminate o in generale le offerte troppo ampie. Certo ci sono delle eccezioni dove l’offerta dev’essere vasta e varia, per esempio nei wine bar o nelle enoteche dove il vino è il centro dell’attenzione. In generale però offerte troppo strutturate rischiano di confondere il cliente senza riuscire a soddisfarlo. Soprattutto in quei bar che vivono il vino soprattutto al momento dell’aperitivo. Qui, più che la vastità dell’offerta è il tipo di offerta e il rapporto diretto con il cliente a fare la differenza. Per quanto riguarda il secondo aspetto, soprattutto, è il consiglio del professionista a diventare il miglior sostegno alla vendita, creando contemporaneamente un rapporto di fiducia col cliente. È ovvio, però, che chi propone i vini deve conoscerli davvero. Non può improvvisare».

Come dovrebbe essere strutturata una buona offerta in un bar?

«Se penso al classico bar italiano che propone bene il vino durante la pausa pranzo o al momento dell’aperitivo penso a un locale che offre otto o dieci etichette. Ma devono essere otto o dieci vini capaci di far “viaggiare” il cliente. Bisogna dargli il senso del “movimento” ovvero di essere di fronte a un offerta che spazia tra regioni diverse e gusti diversi. Si possono per esempio presentare più vini ottenuti dallo stesso vitigno, ma prodotti in zone diverse. Pensiamo al Pinot nero e alle differenze che questo può assumere se prodotto in Borgogna, nell’Oltrepo Pavese o in Trentino. Oppure, si possono offrire etichette che portino il cliente in un un vero viaggio geografico attraverso vini di diversa provenienza. Anche e soprattutto straniera. Credo che in un bar moderno una parte dell’offerta debba essere composta da vini esteri. Francia in testa ovviamente, ma senza sottovalutare le altre zone vocate del mondo».

Qual è il problema principale che riscontra nei bar italiani?

«La conservazione senza dubbio. Certe vetrine con i vini esposti alla luce e bottiglie in verticale sono un errore davvero troppo comune. E non vale la motivazione che i vini in questo modo sono più visibili al cliente e quindi più attraenti. Ci sono cantinette e vetrinette refriegrate che permettono di conservare ed esporre nel migliore dei modi».

Cosa pensa del vino quale ingrediente per cocktail? 

«Penso che abbiamo degli esempi splendidi di come il vino possa ben miscelarsi ad altri ingredienti dando vita a mix memorabili. Pensiamo per esempio al Bellini, un grande classico che nella sua semplicità racconta la giusta filosofia per miscelare il vino. Ovvero il vino ha bisogno di compagni che ne esaltino la bevibilità in un mix dove ogni bevanda trae profumi e sapore dall’unione con l’altra».

Com’è cambiato oggi il cliente?

«Ci sono diverse tipologie di consumatore e ognuno ha le sue specifiche esigenze. Negli ultimi anni c’è stata una segmentazione della clientela. Dai curiosi aperti alle novità a chi si ritiene (a torto o a ragione) un esperto. C’è un modo diverso per soddisfare ognuna di queste fasce di clientela. A volte assecondando le richieste e a volte suggerendo nuove etichette. Certo muoversi nel mondo del vino con la sua offerta davvero sterminata non è sempre facile, ma non è nemmeno impossibile».

Ma come si attira l’attenzione del cliente del bar relativamente al vino?

«Proponendo un’offerta che varia spesso. A differenza di altri prodotti, la proposta del vino ha bisogno di venir rinnovata continuamente».

Come si rimette in moto l’offerta?

«A volte il problema principale che “colpisce” chi lavora è la pigrizia, quella mentale intendo. Ci si ferma a un certo tipo di offerta che alla lunga stanca il cliente, allontanandolo dal locale. Smettere di confrontarsi porta a un appiattimento dell’offerta. Ecco quindi che una voce esterna, un consulente, può rimettere a posto determinati punti critici. Si tratta di un investimento economico minimo che può dare molto in termini di ritorno economico al gestore del bar. A volte si tratta solo di rifocalizzare l’offerta rimettendola sulla giusta strada ridandogli vitalità».

Non si rischia di dover sostenere investimenti fuori dalla portata del classico bar?

«No perché ormai aziende e distributori danno sostegni enormi ai gestori. Sono quasi spariti i quantitativi minimi di acquisto e le cantine sono ben disponibili a vendere anche la singola cassa. Addirittura alcuni distributori assortiscono la fornitura con la cassa da sei bottiglie, una diversa dall’altra. Senza contare che molte cantine, pur di entrare in certi locali, sono disponibili ad aiutare e molto il gestore o il titolare. Da politiche di sconto molto interessanti via via fino ad arrivare al “conto vendita” (ovvero la cantina emette fattura, diciamo così, solo una volta che il locale ha venduto tutte le bottiglie). Alcune cantine infine sono anche disponibili a sostenere il locale dal punto di vista tecnologico, in pratica regalando le cantinette refrigerate e attrezzature utili alla conservazione e al servizio».

Insomma, offrire il vino sembra quasi un’operazione che si può mettere in pratica a costo zero.

«Questo no, perché comunque il vino, i territori, i sistemi produttivi che influenzano poi i sapori, hanno bisogno quantomeno di un investimento culturale e di tempo per essere compresi e per essere “spesi” al momento del servizio».

 

 

Sommelier professionista dal 2008 ha esperienza nel mondo del vino da oltre 20 anni. Nel 2009 ha vinto il primo premio come Miglior Sommelier Ais Lombardia e nel 2011 è stata finalista nel Concorso Nazionale Fisar. Oggi collabora come Wine Expert Italia per una nota casa produttrice di Champagne e tiene lezioni di approfondimento alla conoscenza sul vino. 

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