I produttori italiani scoprono il pericoloso vento proibizionista di Bruxelles e puntano su un’arma infallibile per difendere il nostro vino. Bianchi e rossi fanno bene: al cuore, per il diabete e perfino per l’Alzheimer
Gli studi sul vino in rapporto alla salute dei consumatori aumentano. Verrebbe da dire a dismisura, vista la mole di libri, dati, ricerche e iniziative prodotti negli ultimi dodici mesi. In realtà, considerato che il vino è tra le sostanze alimentari più consumate dal genere umano, non è poi così strano se finalmente si è deciso di capire qualcosa in più su come interagisce con il nostro organismo. Caffè e tè, per esempio, bevande consumate massicciamente a livello planetario, possono vantare una bibliografia scientifica ben più ponderosa del vino.
Il fatto più curioso, però, che per certi versi ci fa riflettere con amarezza su come vanno certe cose nel mondo, è che l'accelerazione impressa agli studi sul vino non è tanto legata a un'impellenza umanitaria. Le “piccole” cantine italiane, che insieme partecipano a fare dell'Italia il maggiore produttore mondiale di vino, non si sono mai affannate per finanziare ricerche scientifiche sul loro prodotto. Finché qualcuno si è accorto che in Europa tira una brutta aria. Tommaso Zanoletti, parlamentare Udc, presidente dell'Osservatorio nazionale Vino e Salute, avverte: «A livello comunitario stiamo fronteggiando una forte offensiva proibizionista sugli alcolici, vino compreso, sostenuta soprattutto dai Paesi del Nord Europa, dove l'alcolismo è molto più diffuso che da noi. E invece la gente dovrebbe sapere che il consumo responsabile di vino, moderato, senza abusi è proprio della nostra cultura, è un toccasana per la salute». Di fronte al rischio di vedersi aumentare l'Iva al livello dei superalcolici e di trovarsi di fronte a politiche sempre più proibizionistiche, sembra che i produttori italiani (ma solo alcuni, quelli un po' più abituati ad alzare lo sguardo oltre il proprio vigneto) abbiano deciso di finanziare la ricerca.
Vino e salute, nuove verità
E così lo stesso Osservatorio Vino e Salute ha promosso l'edizione di un bel libro, intitolato “La verità sul vino”, opera di Attilio Giacosa e di Mariangela Rondanelli. Il primo è un gastroenterologo di fama, in forza al Policlinico di Monza e protagonista, in qualità di esperto, di molti interventi televisivi sul tema dell'alimentazione. La seconda è un'universitaria, docente di Nutrizione all'ateneo di Pavia. I due autori sono andati a spulciarsi una ponderosa letteratura, composta da studi prevalentemente commissionati all'estero, per giungere a conclusioni molto ottimistiche per i bevitori (moderati). «Bere vino in quantità ragionevole, e cioè sempre durante i pasti e mai più di due bicchieri al giorno, è più salutare che essere astemi», sentenzia Giacosa. Lo è per prevenire i disturbi a carico del sistema cardiovascolare, ma anche per evitare di contrarre altre malattie. Insomma, è un farmaco preventivo, come afferma il fatto tuttora inspiegato, e sempre sbandierato dai produttori, che in Francia il colesterolo colpisca molto meno che negli altri Paesi europei, soprattutto dove più alti sono i consumi di vino e formaggi. Giacosa e Rondanelli forniscono dati inattesi: bere bene, con moderazione e durante i pasti, riduce dell'80% il rischio di contrarre l'Alzheimer, rende meno pericoloso il diabete e riduce il rischio di calcoli alla colecisti del 25-40%. Assicura anche un'aspettativa di vita più lunga.
Effetti positivi anche dai vini bianchi
Il discorso riguarda soprattutto i rossi, per il semplice fatto che la sostanza più farmacologicamente importante del vino è il resveratrolo, che risiede nelle bucce delle uve a bacca rossa. «I bianchi ne possiedono in quantità di gran lunga inferiori - dice Giacosa - anche quelli da uve rosse vinificate in bianco, perché questa tipologia di vino si produce riducendo al minimo il contatto con le bucce».
Però non è affatto vero che Prosecchi, Chardonnay o Falanghine non abbiano in serbo effetti positivi per la nostra salute. I bianchi hanno sempre scontato un pregiudizio: il maggior contenuto di solfiti e il particolare pH sembrano determinare in più di un consumatore intolleranze, che si manifestano con i caratteristici mal di testa segnalati da molti bevitori anche soltanto dopo uno o due bicchieri.
Anche questo mito però oggi crolla clamorosamente grazie a una serie di ricerche scientifiche condotte in vari Paesi del mondo. Anche qui, così come ha fatto l'Osservatorio Vino e Salute, il merito di averle commissionate, raccolte e portate agli onori delle cronache è di un protagonista tutt'altro che disinteressato. Si tratta del Consorzio del Soave, il bianco veneto per eccellenza. Il lavoro più ponderoso che è scaturito da questo impegno è stato condotto al Kaiser Permanent Medical Care Program di Oakland (California) dall'équipe di Arthur Klatsky, autorevole epidemiologo statunitense, che nel corso di sette anni ha tenuto sotto controllo la bellezza di 130.000 pazienti. Anche Klatsky, proprio come ha osservato Giacosa, si è accorto che i moderati consumatori di alcol erano più protetti contro le malattie cardiovascolari rispetto agli astemi e che il vino offriva in tali patologie la maggior protezione rispetto alle altre bevande alcoliche.
Donne, categoria più protetta
La sorpresa è arrivata quando tra vino bianco e vino rosso si è scoperto che il primo sembra essere più efficace contro le malattie cardiovascolari e che le donne, che abitualmente prediligono il bianco al rosso, sono la categoria di bevitori più protetta. In un esperimento, condotto dall'Università di Pisa, si è arrivati perfino a somministrare in ospedale un bicchiere di vino bianco al giorno (Soave naturalmente), notando maggiori benefici nei pazienti che ne hanno beneficiato rispetto agli astemi.
«Un risultato- commenta Alberto Bertelli del Dipartimento di Morfologia Umana dell'Università degli Studi di Milano, da sempre studioso degli effetti del vino sulla salute - che ridimensiona il ruolo del vino rosso, fino ad oggi considerato il solo a proteggere contro patologie cardiovascolari, e apre la strada a una nutrita schiera di studi di tipo sperimentale e clinico, con vini bianchi di diversa provenienza, per giungere a una spiegazione definitiva di questo fenomeno».
In conclusione, il vino fa bene e i ristoratori devono saperlo. Anzi, il loro ruolo nella diffusione del “verbo” può essere importante. «I ristoratori possono fare proseliti - spiega la nutrizionista Mariangela Rondanelli - magari anche attraverso un menu della salute, in cui il vino sia ingrediente importante all'interno dei piatti e non soltanto nei bicchieri». Anche per questo la studiosa, autrice del volume “La verità sul vino”, ha previsto una serie di ricette a base di rossi e bianchi, con tanto di indicazione del contenuto calorico e dei benefici. Perché anche al ristorante, e bevendo vino, si può pensare alla salute.