Il Focus Aica presentato nei giorni scorsi delinea un trend positivo ma evidenzia la frenata iniziata nell’ultimo biennio. Bisogna agire sull’aggregazione delle imprese e sulla qualità
Il settore del turismo in Italia vale nel complesso 150 miliardi di euro, l’11,4% del Pil, contro l’8% dell’industria automobilistica. Si basa su un bacino di oltre 30mila imprese che fanno “ospitability” e che occupano circa 2,5 milioni di addetti. Si tratta di una massa critica che parla da sola, ma che nel tempo non è bastata per far mantenere al nostro Paese la posizione di dominio che aveva quarant’anni fa.
Secondo il Focus Aica presentato nei giorni scorsi dall’associazione di Confindustria che riunisce le catene alberghiere e i villaggi turistici, da meta più ambita nel mondo nel 1970 siamo diventati lo scorso anno la quinta destinazione preferita, dopo Francia, Spagna, Usa e Cina. E siamo scivolati addirittura al 28° posto nella graduatoria del World Economic Forum per la competitività nel turismo.
Le cifre del 2007 e del 2008
L’Italia continua per fortuna a beneficiare di un trend in decisa e costante crescita a livello mondiale (+6,6% in termini di nuovi arrivi nel 2007, per un totale di 900 milioni di turisti), fatto che ci ha garantito per lo scorso anno un incremento di arrivi negli hotel del 2,6% e ricavi in salita del 2,92% (dati Aica riferiti alle catene alberghiere). Ma il rallentamento rispetto all’andamento dei ricavi del 2006 (+5,4%) è evidente.
I costi della produzione, inoltre, sono nel frattempo aumentati, con particolare riguardo a quelli energetici, che sono scalati in un anno del 9,7%.
Purtroppo, ma senza destare stupori, i dati riferiti al 31 ottobre 2008 accentuano il declino già chiaramente manifestatosi nell’ultima parte del 2007. L’Aica ha registrato una diminuzione dell’occupazione delle camere durante tutti i primi 10 mesi dell’anno. Risultati particolarmente negativi (e qui un po’ di stupore dovrebbe animarcci) nelle principali città d’arte dove l’occupazione è diminuita di 12,5 punti percentuali.
Secondo le previsioni dell’Associazione, il 2008 dovrebbe quindi chiudersi in flessione del 6,6%, il valore più basso dal 2002.
Le direzioni virtuose
Il principale difetto del nostro sistema ricettivo è tipico di tutti i settori produttivi del made in Italy: l’estrema frammentazione del tessuto di imprese: 33.768 strutture che offrono 1 milione e 34mila camere, con una media di 30,6 camere per albergo, contro le oltre 46 della Spagna. Bisognerebbe, come sottolinea Elena David, presidente di Aica, aumentare la dimensione delle imprese, favorire l’aggregazione, spingere lo sviluppo delle catene.
Il secondo parametro su cui agire è la qualità dell’offerta: spostarsi maggiormente su categorie a 4 e 5 stelle, quelle tipiche delle catene alberghiere (ora l’80,7% degli alberghi è di categoria 1, 2 e 3) significa anche agire immediatamente sulla leva dei guadagni.
Quello che manca, poi, è la capacità di valorizzare il patrimonio paesaggistico, culturale e gastronomico di cui disponiamo: l’Italia non sfrutta le proprie potenzialità perché non si promuove abbastanza, soprattutto all’Estero. Basti pensare che i musei italiani insieme fatturano 100 milioni di euro, mentre il Louvre da solo ne genera 700.
In attesa di mosse concrete concertate ai piu alti livelli, le compagnie alberghiere di Aica hanno deciso di muoversi investendo per il biennio 2008-2009 circa un miliardo di euro, tra nuove aperture e ristrutturazioni. Un incremento di offerta, qualità e anche un impulso per l’occupazione che dovrebbe tradursi in circa 1.000 nuovi posti solo tra gli occupati diretti.