Nella Torino storica sorge The Mad Dog Social Club, locale segreto guidato da Walter Gosso. Qui è tutto vecchio stile, dal mood alle ricette dei drink creati dai padri della mixology.
Lo “speakeasy”, letteralmente parlare sottovoce o piano, è una tipologia di locale che affonda le sue origini nei lontani anni del Proibizionismo americano. Luoghi fuorilegge e per questo mimetizzati nei quartieri e nelle vie più nascoste delle città. Spesso si trattava di “basement”, locali posizionati a livello seminterrato che si raggiungevano scendendo qualche scalino rispetto al fronte strada, con volte in mattoni e ambientazioni essenziali. Vi si consumavano alcolici che, a quell’epoca, erano proibiti come oggi sono le sostanze stupefacenti. E siccome non dovevano dare nell’occhio anche l’atmosfera era ovattata. Era importante infatti tenere il “volume” molto basso per non destare troppa attenzione. Anche per questo era meglio tenere anche nelle conversazioni un tono tranquillo, “speakeasy” appunto. Poi, quando nel 1933 il Proibizionismo finì, tutto ritornò in superficie, alla luce del sole, e gli speakeasy sparirono. Fino ai giorni nostri. La formula, infatti, sta vivendo una nuova stagione e fioriscono “locali segreti” in tutto il mondo, Italia compresa.
Una rinascita merito spesso di appassionati bartender che hanno intrapreso un percorso professionale alla riscoperta della mixability dei primi del Novecento. Uno di questi pionieri “di ritorno” è Walter Gosso, torinese, pluripremiato e membro del Drink Team di Bargiornale, che dal novembre 2014 è alla guida del The Mad Dog Social Club.
Parola d’ordine?
Situato nel nucleo storico del capoluogo piemontese, in via Maria Vittoria all’altezza della storica Piazza Carlina, ha proprio tutte la caratteristiche di uno speakeasy newyorkese. Collocazione seminterrata, soffitto di mattoni a volta, atmosfera soft. Per accedervi bisogna conoscere la parola d’ordine quotidiana, proprio come avveniva oltreoceano negli anni Venti. Ogni giorno, sul sito del locale (www.themaddog.it) viene proposto un quesito e chi sa la risposta ha buone probabilità di entrare, anche se non la certezza assoluta. «Ci riserviamo sempre - spiega Gosso - di fare noi l’ultima selezione, in base a una sorta di “dress code” che non intende tanto fare distinzioni sociali ma semplicemente scremare la clientela meno attenta alla qualità per cui un locale vale l’altro o che richiede drink che neanche proponiamo come lo Spritz». Quello di Gosso non è snobismo, ma coerenza a un’idea personale di mixability che è sinonimo di cultura, ingredientistica di alta qualità, ricerca storica e reinterpretazione moderna dei classici
«Abbiamo - dice Gosso - anche un ulteriore criterio di selezione del nostro pubblico. Assegniamo speciali fiches colorate, a clienti abituali, amici, persone che stimiamo, con le quali sono possibili ingressi in coppia o singoli, secondo il colore. Le fiches nere e quelle rosse sono le più ambite». All’interno pochi tavoli, non più di 50 coperti, con un’ulteriore particolarità. «A fianco del bancone, e della mia postazione in particolare, ho voluto creare il “tavolo del barman”, delimitato da una sorta di catena, nella quale ammetto a insindacabile giudizio solo chi dico io». Tutti gli arredi sono stati creati ad hoc, su ispirazione e indicazione dello stesso Gosso e dei suoi soci. Anche la scelta dei drink non poteva che essere particolare. «Abbiamo due carte - spiega Gosso -. Una l’abbiamo battezzata “Travelling in the world with cocktails” che raccoglie 100 classici, per la maggior parte di Harry Craddock, pubblicati nel suo The Savoy Cocktail Book, e in parte tratti dal Johnson (altro storico manuale per bartender del 1882). Li serviamo accompagnati dalla pagina del libro su cui si trova la ricetta. La seconda carta è quella dei miei “signature drinks”. Al momento sono un’ottantina ma presto, quando avrò indicazioni definitive sui gusti degli ospiti, la ridurrò un pochino».
La prospettiva è cambiare la carta 2 o 3 volte l’anno, anche per seguire l’andamento stagionale. Tra le particolarità della proposta, la totale assenza di vodka, la presenza di gin, whisky, vermouth ricercati e, soprattutto, sake di cui Gosso è un cultore. Il suo Kitai, a base proprio di rum e sake, gli ha consentito, lo scorso anno, di affermarsi alla Bacardi Legacy Competition. Non c’è cucina al momento (si sta pensando a una proposta food) e i mix sono accompagnati da snack come popcorn, arachidi, olive e stuzzicherie. Gosso non è solo ma è affiancato da Carola Abrate (che gli fa da alter ego quando è assente) e da un team composto da Giuliano Facchini, Antonio Masi e Luana Bosello. All’accoglienza c’è il professionale Pedro Kiala.