Il bar d'albergo rappresenta ancora una palestra d'ardimento per le nuove generazioni di bartender? Lo abbiamo chiesto ad Andrea Rella, responsabile di Mio, bar-bistrot del Park Hyatt di Milano.
Chi conosce anche solo sommariamente la storia della miscelazione moderna sa che molti dei grandi cocktail classici sono nati all’interno dei bar d’albergo. Laboratori e fucine non solo d’innovazione e tendenze, ma anche di talenti. Jerry Thomas, padre putativo di tutti i mixologist contemporanei, si è fatto le ossa lavorando proprio nei saloni dei grand hotel e, si racconta, che mentre shakerava all’Occidental Hotel di San Francisco, inventò il Martinez, parente prossimo del Martini Cocktail. Per arrivare ai giorni nostri, l’Artesian di Londra, che per tre anni consecutivi è stato nominato “best world bar” da Drinks International e dove lavorano i nostri “collaboratori” Alex Kratena e Simone Caporale, è precisamente il bar del Langham Hotel.
Un primato oggi però forse insidiato da altre formule che proprio sul fronte della ricerca e della sperimentazione stanno emergendo con forza, promuovendo nuovi talenti. Pensiamo, in primis, agli speakeasy ma anche al ritorno dei cocktail bar. Per saperne di più siamo andati a trovare chi di bar d’albergo se ne intende. Anzi ci lavora. È Andrea Rella, responsabile del Mio, il bar del Park Hyatt di Milano recentemente balzato agli onori della cronaca per essere stato al centro di un intervento di rinnovamento che ha interessato anche il ristorante Vun (che in milanese significa “uno”), guidato dallo stellato Andrea Aprea.
Partiamo dalla tua gavetta. Quali sono stati i luoghi più importanti dove hai lavorato prima di approdare al Park Hyatt Milano?
Sicuramente il Principe di Savoia, che è stato un po’ il mio battesimo del fuoco, e il Gallia, altro mitico grande albergo milanese. Qui ho imparato la professione e ho avuto la fortuna di lavorare al fianco di un super professionista Vito Santeramo, capo barman del Gallia. Al Park Hyatt sono approdato nel 2007 e anche qui ho trovato un responsabile molto in gamba come Francesco Pierluigi.
Quali sono le principali differenze tra un barman d’albergo e un barman che lavora in un locale normale?
Sono diverse. Intanto, il professionista che decide di lavorare in una struttura alberghiera deve avere una preparazione a 360° su vini e distillati. Non basta, ad esempio, essere preparati sui cocktail a base di gin o vodka e avere una conoscenza superficiale sui Champagne o sui rum. Spesso il barman d’albergo deve essere in grado di orientare le scelte dell’ospite, che può chiedere, per esempio, un consiglio su un buon rum di scuola spagnola. In tal caso bisogna essere pronti a dare la risposta giusta. Generalmente la clientela che frequenta i grandi alberghi di lusso ha esigenze molto particolari e bisogna essere molto attenti a non deludere le loro aspetta tive. Un’altra differenza è il comportamento: se in un locale normale il barman può ad esempio sedersi al tavolo con il cliente e bersi un chupito ridendo e chiacchierando, in un bar d’albergo vige un altro stile, meno confidenziale. Ad esempio, come Park Hyatt abbiamo degli standard di servizio da rispettare. Questo non vuol dire essere “distanti” o ingessati, anzi il nostro stile è molto meno rigido e formale di altre catene. Quindi, chi decide di lavorare in un bar d’albergo deve calarsi in una dimensione dove l’accoglienza segue regole ben precise.
Ma il barman classico d’albergo, con lo smoking bianco, non è un po’ passato fuori moda?
Direi di no. A parte che noi al Park Hyatt non vestiamo lo smoking, ma indossiamo un completo nero con cravatta, devo dire che il settore sta vivendo un periodo molto positivo. E credo rappresenti anche un moltiplicatore di opportunità per chi è alla ricerca di un’occupazione. Pensiamo solo a Milano e al boom di “terrazze”, dehors o cocktail bar collegati a hotel.
Tuttavia il primato del bar d’albergo come laboratorio di nuove tendenze non è forse insidiato da altre formule come, ad esempio, gli speakeasy?
Sono due mondi sinergici e non in contrapposizione. Bar d’albergo e speakeasy sono entrambi impegnati a sperimentare e a creare nuove miscele utilizzando infusi, alcolati e distillati d’elite. Come si faceva una volta. La differenza fondamentale è che come bar d’albergo dobbiamo rispettare degli standard di servizio e non possiamo far aspettare l’ospite oltre 20 minuti. A prescindere che si tratti di preparare un Gin Tonic o un cocktail di nuova concezione e super elaborato.
Prima parlavi della piazza di Milano. Mi puoi dire quali sono i colleghi “milanesi” con cui sei in contatto e con i quali c’è uno scambio di idee o consigli?
Volentieri. Stimo molto Patrick Greco del Bulgari, Luca Marcellin del Four Seasons, Matteo Rizzolo dell’Armani. Ci incontriamo periodicamente e condividiamo le nostre esperienze. Possiamo definirci una vera e propria comunità.
Quindi non vi fate la guerra?
Quasi mai.