A luglio un’inchiesta condotta a campione dalla Bbc per la trasmissione Watchdog, in qualche decina di caffetterie del Regno Unito di note catene internazionali, rivelava la presenza di batteri fecali nel ghiaccio messo nei bicchieri delle bevande. L’inchiesta dell’emittente britannica e i servizi analoghi realizzati in precedenza nel nostro Paese (Striscia la notizia su Canale 5 o di Di martedì su La7), con gli stessi risultati, sebbene non si possano considerare una realtà generalizzata, riportano l’attenzione su un tema spesso trascurato: l’importanza della corretta produzione e conservazione del ghiaccio per usi alimentari.
Ampiamente usato nei bar, al ghiaccio in molti casi non si presta la dovuta attenzione. Un grave errore, perché se non prodotto e manipolato secondo le prassi corrette può diventare potenziale causa di infezioni, mettendo a rischio la salute di consumatori e operatori.
Contrariamente a quanti molti credono, infatti, il ghiaccio di per sé non è un alimento sterile. Il processo di congelamento dell’acqua attenua l’attività di eventuali agenti infettanti presenti, come batteri, virus, micotossine, parassiti, ma non la elimina, per cui il rischio di contaminazione può essere alto. Ma i microrganismi non solo l’unica insidia. Sostanze chimiche presenti, ad esempio, nelle acque impiegate, legati ai materiali a diretto contatto con il ghiaccio o provenienti dal processo produttivo, così come piccoli corpi estranei di varia natura (frammenti di vetro, di metallo di plastica, ma anche insetti), entrati accidentalmente nei macchinari o nei contenitori, possono rappresentare altrettanti pericoli, sebbene tali casi di contaminazione siano molto più rari.
Insomma, il rischio che qualcosa vada storto, se non si procede con la massima accortezza, è sempre in agguato.
L'autoproduzione
Un problema che riguarda in particolare l’autoproduzione, pratica diffusa nei bar, dove può capitare che l’operatore non sia consapevole di utilizzare acqua non idonea, o dove magari non si effettua con continuità la manutenzione e sanificazione di macchine e attrezzature per il trattamento delle acque o per la produzione e lo stoccaggio del ghiaccio, o dove semplicemente il personale non adotta gli accorgimenti necessari per la sua manipolazione.
Su questo ultimo punto, in particolare, gli esempi si sprecano. Un errore molto comune per chi possiede una macchina per la fabbricazione di ghiaccio è non essere dotato della sessola, la paletta da utilizzare per prelevare o trasferire il ghiaccio da un contenitore all’altro, e di eseguire l’operazione con il primo strumento che capita sotto mano, che poi magari viene anche appoggiato o tenuto in giro. Cosa che avviene anche per la stessa sessola, che spesso non viene riposta nel suo alloggiamento dedicato. Altra pratica diffusa ma sbagliata consiste nel prelevare il ghiaccio dal suo contenitore direttamente con il bicchiere, non considerando però che la parte esterna del bicchiere non è mai abbastanza pulita, perché è toccata con le mani.
Così come spesso si trascura la pulizia dei contenitori e degli strumenti come palette, pinzette, con i quali il ghiaccio è conservato e manipolato, che tra l’altro devono essere idonei al contatto con gli alimenti, e delle superfici dove questi vengono posati. Lo stesso per quanto riguarda i rompighiaccio meccanici che si usano per produrre scaglie, che se non puliti con la dovuta frequenza diventano fonti di contaminazione. Altra cattiva abitudine è conservare il ghiaccio in vasche aperte o in glacette dove in precedenza sono state esposte bottiglie. Insomma, tutta una serie di comportamenti che rappresentano altrettanti fattori di rischio.
A conferma che tali fenomeni siano più diffusi di quanto si pensi, i risultati di una campagna effettuata l’estate 2016 dal Dipartimento attività sanitarie di regione Sicilia su un campione di piccoli produttori e locali dell’area costiera della provincia di Palermo, presentati in un convegno organizzato dall’Istituto nazionale ghiaccio alimentare (Inga).
La prova sul campo
Lo studio effettuato ha riscontrato tracce di contaminazione microbiologiche nel ghiaccio di oltre la metà degli operatori controllati. Un dato controbilanciato dai risultati della seconda fase della campagna, che ha rilevato come in breve le stesse realtà avessero risolto tutte le criticità riscontrate: a dimostrazione che con un po’ di attenzione e le giuste prassi si può garantire maggiore sicurezza a tutela di tutti.
Prassi definite dal Manuale redatto da Inga, in collaborazione con le principali realtà del settore, tra le quali Ice Cube, uno dei maggiori produttori italiani di ghiaccio confezionato, e la società di consulenza per l’industria Iseven Servizi, e approvato dal ministero della Salute, che contiene le indicazioni per la produzione e la gestione di questo alimento. Un documento unico in Europa, che deve entrare a far parte degli strumenti di lavoro di ogni barista.