Tanto modesto quanto indispensabile per la riuscita di un buon caffè: è il filtro, il piccolo contenitore posto all’interno del portafiltro che a ogni estrazione accoglie il caffè macinato e pressato su cui viene iniettata acqua ad alta pressione (in genere 9 atmosfere). Grazie a questa forza e alla temperatura (attorno ai 90°C) l’acqua è in grado di sfruttare il pannello di caffè ottenendo una bevanda densa, ricca di aromi e sormontata da una crema densa e persistente. Le prime macchine a vapore avevano contenitori di dimensioni ampie per lo più realizzati in alpacca grazie alla sua duttilità e con fori maggiori degli attuali. Dall’arrivo della macchina a leva e successivamente della pompa volumetrica che inietta acqua calda ad alta pressione, le proporzioni tra il macinato, la superficie del filtro e il suo spessore cambiano. La dose classica italiana è stata identificata in circa 7 grammi, il filtro ha assunto un diametro minore (oggi varia da 52 a 58 millimetri a seconda dei produttori) ed è più spesso. È cambiato anche il materiale: i filtri sono in acciaio, più robusto, e in grado di reggere senza problemi a un altissimo numero di colpi sul battifiltro.
Anatomia di un filtro. Osserviamo le parti che costituiscono un filtro tradizionale. Il diametro del bordo, si deve abbinare al portafiltro e aderire alla guarnizione superiore del gruppo per scongiurare qualsiasi rischio di fuoriuscita di liquido insieme alla polvere di caffè. La sagoma (più squadrata per la dose doppia, simile a un tronco di cono per la singola) e l’altezza determinano la capienza. Il fondo è la parte filtrante. È importante valutare con attenzione l’altezza del filtro: tra la doccetta e la dose di caffè ci devono essere circa 2 mm, per dare modo al macinato di espandersi e assorbire bene l’acqua in fase di preinfusione. Se a fine estrazione la pastiglia è bagnata e molle ci può essere troppo spazio, ovvero il filtro è troppo alto rispetto alla grammatura. Se la pastiglia è scurissima e molto compatta, il caffè non ha avuto spazio per svilupparsi, dunque il filtro è troppo basso, e il risultato in tazza sarà un caffè sottoestratto.
Guardandoli in sezione, i fori hanno una forma conica, il cui diametro può variare da 0,25 a 0,40 mm: la parte più piccola del foro, in alto, svolge l’azione filtrante, dopo di che il liquido può espandersi e uscire. Sono stati provati dei fori cilindrici, che tuttavia si otturano rapidamente e non permettono di effettuare ulteriori estrazioni. Abbiamo visitato Ims Filtri di Torre d’Isola (Pavia), dove è stata messa a punto e più volte affinata la tecnologia per realizzare questi piccoli contenitori, che in un classico filtro da 58 (il più utilizzato) distribuisce ben 549 fori alla distanza di 1,73 mm. Attualmente delle micropuntine fanno un’impronta nella superficie del filtro; sul lato opposto si forma una fuoriuscita che viene tagliata con un’apposita lama. È importante mantenere ben puliti i filtri che durante la giornata vedono parecchi fori otturati: per ovviare a questo inconveniente sono state studiate alcune soluzioni, tra cui l’elettrolucidatura che dà un aspetto più brillante e trattiene meno lo sporco: questo trattamento elimina buona parte delle rugosità superficiali, rendendo antiaderente anche l’interno del foro: costa un po’ di più, ma ci sono aziende che le montano di serie sulle proprie macchine per la loro praticità. È stato poi messo a punto il rivestimento al nanoquarzo, che ha grandi proprietà antiaderenti ed è certificato per il contatto alimentare. Se è trattato bene, si può affermare che la vita media di un filtro sia pressoché infinita. La parte che si usura maggiormente è il bordo, a causa dei colpi che riceve; se non lavato il fondo si incrosta e non passa più il caffè: sono sufficienti cicli di pulizia quotidiani con appositi prodotti per non avere questi problemi. Un consiglio per il barista è di avere sempre almeno un filtro di ricambio (costa 2-3 euro): se si ammacca, il caffè non va più in pressione e l’acqua mista al macinato esce dal bordo.