Entrando in Cafezal, accanto al banco bar, attira l’attenzione la sagoma bianca di una tostatrice Giesen, con il lungo tubo che corre al di sopra dell’area di mescita e che convoglia all’esterno i vapori di tostatura (per ora si tosta solo nelle ore di chiusura domenicali e spesso la sera). Al banco, alla mattina, ci sono la giovane Erika Bravo e Andrea Strano che si destreggiano tra estrazioni a filtro, espressi e cappuccini in latte art realizzati con una macchina espresso Strada ep. Nel pomeriggio entra in scena Luciano Bramante, ricco di una lunga esperienza in Australia e in Norvegia, che da settembre dello scorso anno ha preso le redini della gestione della torrefazione.
Ambiente metropolitano
Caffezal è una torrefazione molto particolare: progettata da Studiopepe che ha reinterpretato la tradizione portandola in una realtà metropolitana, con decori ispirati alla natura, dettagli di marmo marquinia nero e l’alternarsi di tinte che vanno dal grigio chiaro al blu scuro, con elementi in rame che virano sul rosa. Ideatore e proprietario di quella che definisce una microtorrefazione specialty con flagship store, è Carlos Bitencourt, laureato in ingegneria industriale in Brasile e con una solida cultura sul caffè avendo lavorato in Germania e a Londra. «Quando sono venuto a Milano ho visto il grande potenziale di questo settore, ma anche la sua difficoltà - afferma Bitencourt -. Mi sono detto che nella vita bisogna fare ciò in cui si crede e qui, in via Solferino, ho dato il via alla mia avventura». Il primo bilancio è positivo: le vendite quotidiane si attestano su 2 kg di caffè e la roastery ha clienti in Arabia Saudita, Georgia e Italia. Grazie a ciò la produzione mensile di caffè tostato si attesta sui 140-150 kg. Un importante riconoscimento è arrivato lo scorso novembre, quando nell’ambito dell’European Coffee Symposium, Caffezal si è classificato secondo tra i “Best independent coffee shop” dopo il berlinese The Barn. Bitencourt sente spesso il richiamo della sua grande terra, dove quando può si reca in piantagione, portando con sé al ritorno prodotti interessanti. Ad esempio, una sua recente scoperta sono i caffè della regione della Serra du Caparao, nel Minas Gerais, caratterizzati dal gusto di frutti gialli, melassa, con un finale di cioccolato.
La questione culturale
Bitencourt propone solo singole origini. «Ho voluto fare un percorso contrario a quello classico italiano - riprende - non sono partito dalla miscela, ma dalle caratteristiche peculiari delle singole origini, per fare capire che, come il vino, il caffè ha diverse zone di produzione, lavorazioni e profili di gusto. Credo tantissimo nel caffè brasiliano, che secondo me è ancora sottovalutato, mentre ha un grandissimo potenziale, grazie a prodotti complessi e speciali, non solo neutri. Ora che spero di avere fatto comprendere questo concetto sto pensando di mettere a punto una miscela: rotonda, dolce, con una forte componente di Brasile, e una nota particolare di caffè del Centro America o Etiope». Tra i caffè in degustazione riscuote particolare interesse l’Etiopia Guji, qui denominato Fresh Island proveniente da una subregione del Sidamo: l’espresso si presenta dolce, fruttato e non molto acido, con note di ciliegia e mora. Qualche cliente lo richiede chiamandolo per nome. E ora un’occhiata alla parte food: sotto le campane dei dolci e nelle vetrinette non ci sono brioches, ma muffin, plumcake, qualche torta, banana bread; a pranzo, toast con salmone e avocado o con nutella, piatti con riso, avocado, mango e salmone. Sono in arrivo dolci della pasticceria brasiliana. In chiusura chiediamo a Carlos Bitencourt un parere: come mai a Milano e, in genere, in Italia, il mondo specialty procede a rilento? «Penso sia un problema prima di tutto culturale: qui c’è una tradizione ben radicata del caffè, soprattutto dell’espresso, più complessa da modificare al contrario di quanto è avvenuto in Paesi in cui gli specialty si sono presentati come prodotti “nuovi” e si sono imposti più facilmente. Penso che tra chi lavora in questa nicchia di qualità in Italia sia necessario avviare un percorso di maggiore apertura e di dialogo: dobbiamo creare un movimento, come è successo a Londra».