Torniamo sulle tematiche riguardanti il mondo del caffè e la sostenibilità con questo contributo di Riccardo Gambuti pubblicato sul Pascucci Magazine n.5, con cui la Torrefazione invita a riflettere sull’uso della capsula e sulle sue conseguenze per l’ambiente, il fisico e, perchè no?, il portafoglio.
We're only it for the money. Siamo qui solo per far soldi, diceva Frank Zappa nel lontano 1968 e dall’uscita del famoso album del genio di Baltimora, le cose non sono di certo cambiate, anzi. Così va il mondo e a invocare uno scenario in cui le leggi economiche siano assoggettate a quelle morali, sono rimasti solo i moralisti che, com’è noto, predicano bene, razzolano male e, mentre lo fanno, racimolano capitale attraverso libri, convegni, congressi, ospitate, comparsate, consulenze, politica, pubblicità, social media, radio e televisione, a ballare con le stelle della Carlucci o a confessarsi da Don Fabio Fazio, ed ecco che il cerchio si chiude e la regola di Frank è un’altra volta dimostrata.Ciò non toglie che da addetti ai lavori, si possa sentire il dovere di esprimere un parere a proposito del grande mercato cresciuto intorno al commercio di monoporzionati, proprio in ragione del fatto che in questa piazza siamo presenti pure noi e non con pochi dubbi. Quello che ci preme in questa sede è assumere una posizione netta nei confronti della tendenza che più è andata affermandosi in questi ultimi anni: il consumo della capsula.
Non è un mistero, le capsule non ci piacciono e proviamo generalmente una certa idiosincrasia per tutto ciò che ha a che fare con la plastica: un materiale che, nei nostri shop come nel nostro packaging, adoperiamo raramente e malvolentieri. Abbiamo già messo in evidenza l’aspetto più controverso legato all’utilizzo di questo prodotto e cioè l’impatto sull’ambiente; in particolare, l’infestante fardello che lasceremo in eredità alle generazioni future. Ora possiamo dire che non solo siamo ancora della stessa idea ma che nel frattempo ci siamo posti altre domande in qualche misura scomode. Ad esempio, com’è possibile che all’interno del cosiddetto mercato, quest’entità dai contorni indefiniti cui tutto è permesso, possa imporsi in maniera così perentoria un’alternativa sostanzialmente peggiore di quelle già esistenti? Va bene, non è la prima volta che accade, la società industrializzata vive di questi paradossi, ma qui non si parla mica di lettori MP3 per cui mettiamoci d’accordo: siamo o non siamo quello che mangiamo (e beviamo)?
Possiamo fare finta di niente oppure possiamo raccogliere i sospetti della comunità medica riguardo gli ftalati rilasciati dalle capsule durante l’estrazione del caffè. Lo ftalato è un agente plastificante usato solitamente per sigillare i contenitori e in piccolissima parte va a contaminare il tuo caffè in tazza. Secondo gli esperti, ci sono buone possibilità, non ancora del tutto dimostrate, che questa sostanza provochi danni ai reni, ai polmoni, al fegato e soprattutto all’apparato riproduttivo di entrambi i sessi, in particolar modo quello maschile. La percentuale ingerita è millesimale ma va moltiplicata per il numero di caffè consumati e va sommata alla plastica che quotidianamente già assumiamo, dal momento che da tempo è entrata a far parte della nostra catena alimentare. Triste disciplina, l’aritmetica dei veleni.
Perché sottovalutiamo il fenomeno? La spiegazione sta forse nel fatto che fondamentalmente ce ne sbattiamo della nostra salute? Non è il caso di tirare in ballo la filosofia, tantomeno la psicanalisi ma non sarà che, coscienti o no, ci vogliamo tutti un po’ male e ancora patiamo l’inconveniente di essere nati, per dirla alla Cioran? Stando così le cose, se davvero ce ne freghiamo di noi stessi, inutile perdere tempo nel pensare al danno che creiamo ai nostri figli. Inoltre, la logica del “se stai a guardare a tutto, non mangi più” non è completamente campata in aria ma resta ugualmente pericolosa perché avanti di questo passo, finiremo col far merenda con barrette di mercurio. L’aspetto economico è secondario ma non per questo è da sottovalutare: la tazza di caffè in capsula costa mediamente il doppio di quella proveniente da cialda e il quadruplo rispetto a quella estratta con la moka: i gusti son gusti e son tutti giusti, ci mancherebbe, ma in considerazione di quanto scritto finora, noi pensiamo che la qualità del prodotto finale non motivi minimamente una tale differenza di prezzo.
Allora è forse una questione di praticità? Può darsi, in effetti l’impressione è che stiamo diventando sempre più pigri: ciò che per i nostri nonni sarebbe stato uno sperpero incomprensibile e inaccettabile, per noi è pienamente auspicabile ma allora perché non affidarsi alle cialde? Le Ese da 44mm sono di gran lunga le più diffuse e sono universalmente compatibili, al contrario delle capsule, che gravitano in una sconclusionata galassia di formati proprietari - peraltro ennesima causa di spreco -; abbiamo già visto che sono più economiche, così come costa meno smaltirle e, dulcis in fundo, il sapore del caffè estratto è quasi sempre migliore. In questa sede, cogliamo l'occasione per ricordare che il formato più diffuso delle capsule contiene la miseria di cinque grammi di caffè, giusto a ribadire la grande sofferenza del palato e del portafoglio. Ci fermiamo qui ma crediamo di essere stati chiari. Sappiamo benissimo quanto sia dura resistere ma non lasciatevi ammaliare dalle sirene suadenti del mercato: spesso, chi vince la battaglia commerciale, non ha il prodotto migliore. Buona cialda a tutti.