Attira l’attenzione e incusiorisce la colonna slanciata con il logo Spillo e due rubinetti per spillare: birra? No, cold brew 100% italiano firmato Mokaor. Per trovare la miscela più indicata, si è cercato negli “archivi” della Torrefazione di Vercelli individuandola nella ricetta Super Bar degli anni ’50, senza punte di gusto e bene equilibrata. Dal caffè macinato e lasciato macerare in acqua fredda, si ottiene il cold brew caratterizzato da acidità e amarezza contenute, e una buona presenza di dolcezza naturale, unita a un discreto apporto di caffeina. Al fine di mantenere la catena del freddo, il prodotto viene sterilizzato tramite pascalizzazione, una tecnica di conservazione che comprime il liquido ad alta pressione, causando l’inattivazione di alcuni microrganismi ed enzimi presenti in esso.
Disponibile in in bag-in-box da 3 e 5 litri, il cold brew nelle versioni con zucchero di canna e non zuccherato, al bar si presta a numerosi utilizzi. Il più scenografico è la spillatura con azoto, (o con aria compressa, dalla colonna Spillo, una tecnologia esclusiva sviluppata da un’azienda specializzata nel beverage su indicazione di Mokaor, che dona una buona intensità al caffè e offre nel bicchiere una bevanda simile a una birra Stout, con una crema persistente morbida, ready to drink. Al gusto presenta una gradevole dolcezza dovuta sia all’estrazione a freddo sia alle minuscole bollicine create dall’azoto sotto pressione: sono loro a dare cremosità. I due rubinetti possono erogare la bevanda con e senza zucchero, oppure una con azoto e un cold brew liscio, da servire on the rocks, con l’aggiunta di latte (particolarmente indicato quello di mandorla, che riporta al caffè leccese) o aromatizzato con spezie. Con la sua dolcezza, Spillo si presta molto bene a essere miscelato all’interno di cocktail, sposandosi alla perfezione con ingredienti come il prosecco di Valdobbiadene e i distillati più profumati. E’ prevista la distribuzione del prodotto attraverso collaborazioni con aziende del settore e torrefazioni che potranno marchiarlo con il proprio nome, in un’operazione di co-branding.