“In un mondo che cambia, l’innovazione è la base del successo”. Così si è aperto Vantguard Speak Easy, evento tenutosi di recente a Barcellona che ha riunito baristi e professionisti del settore provenienti da Italia, Spagna e Portogallo. Speak Easy di Vantguard (nota per Gin Mare, Capucana cachaça, Tequila Curado e altri craft brands) è un programma ambizioso nato allo scopo di offrire spunti, contenuti e punti di vista alternativi alla bar industry. Nell’appuntamento di Barcellona, il secondo dopo quello di Londra, sono stati esplorati aspetti diversi del nostro settore, dalle materie prime necessarie per la distillazione alla costruzione di una carriera di successo, dal corretto impiego di ingredienti passando per le idee più fuori schema per promuovere il proprio cocktail menu attraverso l’utilizzo di immagini efficaci. Ai Vantguard Speak Easy di Barcellona sono intervenuti Carlos Magdalena, orticoltore e ricercatore scientifico al Kew Royal Botanic Gardens di Londra; Edwin van Eijk, esperto di distillazione e fondatore di iStill; Jorge Balbontin, brand development specialist di Vantguard; Joe e Daniel Schofield, giovani ma già rinomati bartender vincitori di numerosi riconoscimenti internazionali per la loro attività lavorativa e Addie Chinn, fotografo esperto in lifestyle che ha immortalato brand, cocktail e bar di tutto il mondo. Tutti hanno illustrato gli aspetti chiave per comprendere il passato, il presente e, ed è per questo che eravamo lì, il futuro di questo settore. Ecco alcune analisi tra le più rappresentative.
Giacomo Giannotti, co-fondatore del Paradiso a Barcellona
Bartender Italiano all’Estero dell’anno ai Barawards 2019, è stato tra gli ospiti dell’evento di Vantguard. «Fare delle previsioni sul futuro è la nostra attività quotidiana. Quando si pensa a un menu si cerca di guardare oltre a quello che sta andando di moda. Il lavoro di squadra è utile per fare emergere idee nuove. Siamo passati in pochi anni (il Paradiso è aperto dal 2015) attraverso fasi diverse. Quando abbiamo aperto la novità stava nella formula. Un cocktail bar nascosto dietro una paninoteca che fa pastrami. Nel primo speakeasy di Barcellona abbiamo iniziato a introdurre i twist on classics. E solo quando abbiamo capito che il nostro pubblico era davvero pronto alle novità le abbiamo inserite in carta. L’ultimo menu è giocato sull’Illusionismo. C’è il Cavallo di Troia, la Ghigliottina, il menu retroilluminato, i cocktail fluorescenti. Per creare qualcosa di nuovo devi prendere il meglio che c’è intorno a te. Lasciare spazio all’immaginario. Per esempio l’idea del menu retroilluminato viene da una lampada vista nel bookshop del Moma, a New York. Continueremo su questa strada: creativi, originali, ma mai troppo estremi. I cocktail devono avere qualche ingrediente sorprendente capace di dare un’esperienza unica, ma devono essere sempre comprensibili e compresi dagli ospiti». Nella terra di Ferran Adrià e delle grandi avanguardie contemporanee in cucina chiediamo a Giannotti se sono in atto o in divenire nuovi progetti legati all’unione cibo-cocktail.
«Sono ancora rari i locali che propongono sperimentazione in cucina e nei cocktail. Al Tickets di Ferran Adrià e l’Enigma di Albert Adrià gli esperimenti di questo genere non mancano, ma sono spazi che appartengono a un altro circuito. Prossimi al mondo della gastronomia, meno a quello dei cocktail.
In futuro questo genere di sperimentazioni potrebbero attirare anche i cocktail bar “normali”, ma siamo ancora distanti».
Addie Chinn, fotografo esperto di still life di cocktail e foto di locali
In una società dove la maggior parte dei messaggi viene veicolata attraverso le immagini, il ruolo della fotografia sarà sempre più rilevante. Si è passati da un tipo di fotografia estremamente realistica e senza troppi fronzoli, a scatti di nuova generazione che narrano il cocktail, la sua genesi, quella del barman che l’ha creata e/o del locale in cui è nato. «Quando fotografo un cocktail - sottolinea Addie Chinn, guru britannico della fotografia di bar e drink - non mi limito alla bevanda. Nel mio still life deve essere presente il contesto e la storia del cocktail che ho di fronte. Il committente deve raccontare tutto del drink che devo immortalare. Una volta si diceva “fai una foto”. Oggi è necessaria la narrazione. Il cocktail ha una sua personalità quindi serve sapere quando, come e perché è stato creato. Poi bisognerebbe fare chiarezza su chi si lamenta dei costi di una bella fotografia. Il nostro lavoro non si limita alla scelta della lente, al tipo di macchina utilizzata, ma comporta anche voci legate a fattori come il tipo di set utilizzato o il lavoro e i tempi della post-produzione. Sui social troviamo milioni di foto di cocktail, ma solo quelle che hanno un racconto dietro riescono a bucare l’obiettivo.
Gli investimenti in immagini di buona qualità torneranno utili a chi della qualità fa il proprio mestiere quotidiano. Non esistono foto che costano troppo. Esistono foto fatte bene e foto fatte male. Nel futuro la differenza sarà dettata da scelte mature».
Carlos Magdalena, botanico e orticoltore ai Royal Botanic Gardens di Londra
Lo chiamano il Messia delle Piante, ma non per meriti religiosi. Carlos Magdalena ha girato il mondo per difendere la ricchezza della natura, salvando in ogni continente specie vegetali a rischio estinzione. È abituato al silenzio della sua Tropical Nursery, vivaio tropicale dei Royal Botanic Gardens di Kew, a Londra. È anche docente e conferenziere internazionale, presidente della International Waterlily and Water Gardening Society. Quando parla in pubblico è capace di illuminare qualsiasi tipo di platea.
Ed è quanto successo anche durante la sua lezione all’evento Speak Easy di Vantguard. «Il punto di partenza è molto semplice: dietro ogni bevanda alcolica c’è una pianta. Almeno una. L’agave e il Tequila, i cereali per il whisky o il gin. Lo studio dei vegetali potrà sicuramente rappresentare uno step in più. Sia in cucina sia al bar. Innanzitutto, perché conoscere le varietà vegetali significa rispettarle. Secondo perché il loro studio permette di evitare errori grossolani nel loro utilizzo. Prendi il peperoncino. Ne esistono 50.000 varietà in tutto il mondo. Con un grado piccante che va da zero a 2.200.000 della Scala Scoville. Se sbagli la scelta non solo cambi l’aroma del drink, ma puoi trasformare dei comuni mortali in draghi fumanti.
Quando prendiamo una pianta dobbiamo saper riflettere. Quale pianta sarà la mia ispirazione? Quale parte della pianta dovrò utilizzare, con quale metodo, mescolandola con cosa? Lo studio della botanica può aiutare un bartender a trovare le risposte giuste».
Jorge Balbontin, brand development specialist di Vantguard
Jorge Balbontin, originario del Cile, è uno dei più apprezzati e coinvolgenti divulgatori in materia di mixology. Dal 2016 è il Global Brand Ambassador per Vantguard Group e si è occupato di sviluppo in 47 Paesi. Un elemento, in particolare, ha distinto la sua carriera: la capacità di avvicinare il mondo professionale a quello dei clienti. Con le sue lezioni di mixology per tutti ha rotto la parete sottile che divideva i professionisti dai cocktail aficionado. «Abbiamo bisogno di parlare con i premium consumer, offrendogli delle esperienze indimenticabili. Allo stesso tempo cerchiamo di coinvolgere i bartender come veicoli per entrare in comunicazioni con i clienti». Il futuro si gioca lavorando sul doppio binario bartender-ospite. «Nel corso della mia carriera ho capito che la curiosità e lo studio sono fondamentali per affrontare con successo il nostro lavoro. I viaggi per visitare le distillerie sono stati alla base della mia ricerca. Le esperienze sul campo sono le migliori per chi vuole affrontare in modo cosciente questo lavoro». Un altro aspetto fondamentale e distintivo del lavoro di Balbontin è la ricerca sul tema gastronomia e mixology. Sua è la paternità di molte iniziative nate per creare un collegamento tra bartender e chef. Ha lavorato con alcuni dei migliori chef stellati (come Albert Adrià dei noti Ticket ed Enigma di Barcellona) nella costruzione e realizzazione di format come il Mediterranean Inspiration by Gin Mare, che tra i punti di forza ha un ricco programma formativo che prevede seminari e laboratori curati da rinomati chef.
Joe e Daniel Schofield, bartender e globetrotter
La storia dei giovani fratelli Schofield è fatta di talento, ingegnosità imprenditoriale e una buona dose di fortuna. Spesso, per loro stessa ammissione, si sono trovati al posto giusto nel momento giusto. Joe era all’Hotel Savoy di Londra sotto la guida di Erik Lorincz nel 2017, l’anno in cui l’American Bar balzò al primo posto dei World’s 50 Best Bars e lui fu indicato come “the one to watch”. Si è poi trasferito a Singapore per lavorare con lo chef Ryan Clift, proprietario del pluripremiato Tipping Club. Da questa unione di talenti nascono i menu multisensoriali. Prima la carta Memory Triggers basato sulla forza evocativa degli aromi sul cervello, seguito dal primo menu commestibile fatto con Gummy Bears, orsetti gommosi al sapore di cocktail. «Con Daniel stiamo progettando di aprire a Manchester, la nostra città natale. Per costruire il locale ci baseremo sulle nostre esperienze, sulla costruzione di reti di contatti con aziende non strettamente del settore (Joe collabora con V-Zug, azienda svizzera di cucine domestiche di lusso), sulla realizzazione di prodotti che parlano del nostro territorio. Collaboro con la giovane azienda londinese Asterley Bros. come direttore creativo. Insieme ai nostri amici di Londra abbiamo creato lo Schofield’s Dry Vermouth e altri prodotti che mettono in mostra il meglio dei botanicals britannici e dei nostri vini. La gamma comprende Dispense Amaro, Britannica Fernet ed Estate Vermouth». Dall’unione di forze, nelle sinergie tra i diversi soggetti della bar industry (aziende, bartender, ma anche chef) possono nascere ottime cose. I fratelli Schofield lo hanno intuito e si sono mossi. Un funambolismo che costituisce la loro matrice stilistica. Basta guardarsi intorno per capire quanto queste collaborazione si stiano moltiplicando. Noti bartender, aziende più o meno mature, stanno aprendo la strada alla ricerca e sviluppo condiviso di prodotti.