Far uscire i bartender dalla loro comfort zone, spingerli a sperimentare nuove strade, normalmente non troppo battute: è l’obiettivo per cui la scuola di formazione barese Ad Horeca ha scelto di dedicare ai beer-tail (i cocktail con la birra) la propria competition.
«Negli Stati Uniti la miscelazione con la birra ha una storia e una tradizione - spiega Andrea “Paki” Renzullo, formatore sulla birra di Ad Horeca -: esistono diversi libri sull’argomento e nelle cocktail list di gran parte dei cocktail bar americani almeno un beer-tail è presente. Da noi, invece, l’uso della birra nei cocktail è poco diffuso. Credo che il motivo, in buona parte, stia in un difetto di conoscenza dell’ingrediente. Se il concetto di birra viene associato alle classiche lager, è chiaro che l’idea di miscelare con la birra non abbia molto senso. Ma il prodotto birra racchiude un mondo di tipologie estremamente variegato. E alcune di queste, penso soprattutto alle Stout, alle Ipa o alle Trappiste, hanno note in grado di dare un carattere distintivo ai cocktail».
Un tocco di aromaticità in più
Teo Musso, patron di Baladin e giudice della competition, racconta di come si sia ricreduto rispetto ai cocktail con la birra: «La mia posizione iniziale era di grande scetticismo - racconta -. Ma i risultati che abbiamo ottenuto in Baladin non solo mi hanno fatto ricredere, ma mi hanno entusiasmato. La chiave è di usare la birra come un sodato, capace di dare una nota di frizzantezza e aromaticità ai drink. Con il vantaggio di poter creare cocktail con un tenore alcolico contenuto e di sfruttare l’elemento trasparenza della bevanda. Penso alla birra come a quell’elemento in più in grado di dare una pennellata aromatica insolita».
La base di partenza deve essere la conoscenza delle diverse tipologie «e la disponibilità di una gamma non banale di birre con cui “giocare” - prosegue Musso -: da quelle speziate a quelle agrumate, alle blanche».
La non (sufficiente) conoscenza è per Musso alla base di molti cocktail con la birra deludenti: «Non conoscendo a fondo le caratteristiche del prodotto utilizzato, si finisce per non usarne abbastanza, cercando di nasconderlo nel drink. Ma così non se ne sfruttano le potenzialità».
Dagli home made alle riduzioni
Oltre che come ingrediente in sé, la birra secondo Renzullo si presta ad alcune preparazioni interessanti per la realizzazione dei cocktail: «Due tra tutte: gli homemade e le riduzioni. Utilizzando la birra al posto dell’acqua nella preparazione degli homemade do alla mia preparazione un sapore unico, più ricco e complesso. E la stessa cosa si ottiene con le riduzioni, per esempio lavorando la frutta con una birra, magari agrumata».
Un’altra soluzione realizzata con successo da alcuni finalisti del concorso - tra cui secondo e terzo classificato - è stata la creazione di una spuma con cui completare il drink (il rischio, qui, è di ottenere una separazione così netta da rendere difficoltosa la bevuta).
Il concorso è stata l’occasione per sperimentare in particolare l’abbinamento tra birra e whisky: «Sono una il complemento dell’altro - afferma Michelangelo Di Toma, esperto di whisky e giudice del concorso -, tanto che in Scozia spesso si beve una birra tra un whisky e l’altro. Ma credo che nel futuro della miscelazione sarà il whisky a trovare sempre più spazio, più che la birra. A partire soprattutto dagli Irish e dai Bourbon, premiati dai giovani per la loro morbidezza e rotondità».
Quanto al futuro dei beer-tail, a giudizio unanime dei nostri esperti sono destinati a rimanere una nicchia. Ma non per questo non va data loro importanza. I motivi sono chiari: ampliare le proprie conoscenze merceologiche, innovare in una direzione che i clienti già conoscono (e apprezzano, visto che la birra è la bevanda alcolica più consumata in Italia dopo il vino, con una distanza che si sta riducendo), valorizzare un patrimonio, quello delle birre artigianali, diventato un’eccellenza italiana.