«La stagione dei buoni pasto potrebbe essere destinata a concludersi presto. Il sistema è al collasso e, senza una inversione di rotta immediata, i quasi tre milioni di dipendenti pubblici e privati potrebbero vedersi negata la possibilità di pagare il pranzo o la spesa con i ticket». È insieme un grido d’allarme e una forte presa di posizione quella lanciata dal tavolo di lavoro che ha visto riunite, per la prima volta insieme, le associazioni di categoria dei pubblici esercizi e della distribuzione: Fipe Confcommercio, Federdistribuzione, Ancc Coop, Confesercenti, Fida e Ancd Conad. Tavolo convocato per fare il punto sulle storture del sistema dei buoni pasto e mettere in campo iniziative congiunte per imprimere una decisa inversione all’attuale situazione.
Tra i principali nodi critici c’è proprio il valore reale dei buoni. Tra commissioni alle società emettitrici e oneri finanziari, lamentano le associazioni, si genera una tassa occulta che grava sugli esercenti che arriva al 30% del valore nominale del singolo ticket: in pratica, per ogni 10.000 euro di buoni incassati, bar, ristoranti e supermercati ne perdono ben 3.000.
Una stortura, per le associazioni, diretto effetto delle gare bandite da Consip, la stazione appaltante per la pubblica amministrazione, che hanno ormai spinto le commissioni al di sopra del 20%. Per il servizio di buoni pasto alle pubbliche amministrazioni, oltre un milione i dipendenti pubblici che ne beneficiano, sottolineano le associazioni, Consip «effettua le gare formalmente con il sistema dell’offerta economicamente più vantaggiosa, ma che di fatto si trasformano in gare al massimo ribasso». Basti pensare che l’ultima gara, aggiudicata a fine 2018, composta da 15 lotti, dal valore complessivo di 1 miliardo di euro, è stata assegnata con uno sconto medio del 20% e con picchi al di sopra del 22%. Uno schema identico a quello del 2016, quando il ribasso medio si è assestato attorno al 15%. Ma non solo. Perché tale livello di sconti, sdoganato dal pubblico, sta diventando prassi anche per le gare private.
«È evidente che lo Stato non può far pagare la propria spending review alle nostre imprese - si legge nel comunicato rilasciato alla conclusione dell’incontro -. Così facendo si mette a rischio un sistema che dà un servizio importante a 3 milioni di lavoratori ogni giorno e si mettono in ginocchio decine di migliaia di imprese, tra pubblici esercizi, piccola e grande distribuzione commerciale. Nessuno può dimenticare che il buono pasto è un servizio che già gode di agevolazioni importanti in termini di decontribuzione e defiscalizzazione». Da qui la decisione dei vertici delle sei associazioni di scrivere al ministro dello Sviluppo economico e al ministro del Lavoro, per chiedere una revisione dell’intero sistema con l’obiettivo di garantire il rispetto del valore nominale dei buoni pasto lungo tutta la filiera.
Ma le iniziative non si fermano qui. Il tavolo infatti attiverà una campagna di comunicazione congiunta che interesserà tutti i pubblici esercizi e la piccola e grande distribuzione commerciale per fare fronte comune sul problema. Inoltre, verrà avviata un’azione di responsabilità per omesso controllo nei confronti di Consip per aver ignorato i campanelli d'allarme sulla vicenda Qui!Group, azienda leader dei buoni pasto alla pubblica amministrazione che, dopo essere stata dichiarata fallita a settembre 2018, ha lasciato 325 milioni di euro di debiti, dei quali circa 200 milioni nei confronti degli esercizi convenzionati. Crediti questi ultimi che difficilmente saranno riscossi. Trattandosi infatti di crediti chirografari, ovvero non assistiti da alcun tipo di garanzia reale o personale, spiegano le associazioni, i rimborsi difficilmente arriveranno a coprire il 10% del credito: praticamente il valore dell'Iva che i titolari dei locali hanno già anticipato allo Stato.