Il Dry January è un'iniziativa nata in Gran Bretagna nel 2013 da un'idea di Alcohol Change UK, un'associazione che sensibilizza le persone a un consumo più consapevole di alcol (leggi Storia e fenomenologia del Dry January). Negli ormai 10 anni di campagna, il movimento ha raccolto sempre più proseliti e – per quanto difficile fare una stima ufficiale – quest'anno hanno aderito ufficialmente al “mese asciutto” nove milioni di persone.
Personalmente, essendo un individuo dotato di una forza di volontà quantomeno malleabile, non sono nuovo a queste prove di determinazione, e saltuariamente mi faccio dei mesi “senza qualcosa”. Ovviamente il mese di gennaio – quella terra meravigliosa dove risiedono tutte le buone intenzioni – è il momento più adatto. Per cui, quest'anno, ho anch'io aderito al Dry January (a onor del vero, l'ho fatto anche l'anno scorso, ma il 9 gennaio il nobile intento è naufragato, in occasione del mio anniversario di matrimonio).
Un appassionato bevitore
Facciamo una fotografia del soggetto: mi definisco un “appassionato bevitore”, vale a dire che con cadenza quotidiana bevo almeno una porzione di alcol; in casa perlopiù birra o vino, mentre fuori bevo cocktail. Normalmente almeno due. Non esco molto la sera, ma ammetto candidamente che mi regalo una sonora sbornia con cadenza trimestrale. Questo mese, avendo preso la cosa sul serio, mi sono dato alcune regole:
- non si fanno eccezioni
- non si modificano le proprie abitudini sociali
- non si modificano le proprie abitudini alimentari (nel mio caso, dieta quasi del tutto vegetariana, ad alto contenuto di pizza)
- non si modificano le proprie abitudini sportive (nel mio caso, da zero sport sono passato a zero sport)
Questo articolo/testimonianza non avrebbe alcun senso di esistere e la mia esperienza non sarebbe diversa da quella delle altre nove milioni di persone citate sopra, se non fosse che la mia vita lavorativa è letteralmente sommersa nell'alcol. Oltre ad aver il piacere di scrivere per questa rivista ormai da sei anni, le mie attività principali si dividono tra il fare consulenze per bar e brand di spirits, fare formazione sul mondo della miscelazione ed essere titolare di una distilleria che produce diversi brand di gin e liquori. In altre parole, non esiste un singolo giorno dell'anno in cui – per un motivo o per un altro – io non sia a contatto con una bevanda alcolica.
La cronaca del mese
Partiamo con la cronaca. Il primo dell'anno è stato atipico, con un Capodanno sobrio coronato dalla fine dell'influenza stagionale. Per cui, quella tipica repulsione all'alcol che accomuna molte persone il giorno dopo il Capodanno, nel mio caso non c'è stata. Il primo vero scoglio è stato il giorno successivo: tasting pomeridiano della drinklist che ho ideato (saggiamente, entro il 31 dicembre) per l'imminente apertura di un ristorante con cocktail bar. Spiegare il perché non assaggi i tuoi drink senza essere guardato strano non è cosa facile, ma in realtà mi sono reso conto che la parte più difficile è stata pensare a degli analcolici che io stesso avrei bevuto volentieri. Qualcosa di buono è uscito fuori, ma allo stesso tempo mi sono reso conto quanto lontano fossi dal pensiero “no alcol” finché non mi ci sono trovato dentro. Mentre da un lato mi lanciavo in infusioni all'anatra alla pechinese e chiarificazioni al latte di cocco (sì, è un ristorante asiatico), dall'altro riuscivo solo a partorire analcolici con soft drinks, sciroppini e poco più. Ho deciso quindi che dovevo aggiungere alla mia lista di regole del mese, quella di cercare di conoscere proattivamente sempre più alternative all'alcol.
Ed è così che il 6 gennaio, durante un aperitivo in casa, mi sono trovato a bere insieme alla moglie incinta di un amico, una sorta di succo d'uva gassato e pieno di zuccheri che viene usato durante le feste dei bambini. Lievemente depresso per questa nuova scoperta, una volta versata dell'acqua tonica all'interno di una coppa Martini assieme a un'oliva, un meccanismo celebrale abbastanza primordiale che non saprei spiegare, mi ha fatto sentire un po' meglio.
Il 7 gennaio di Dry January è statisticamente il corrispettivo del secondo anno di biotecnologie per uno studente: il momento in cui almeno il 50% molla per dedicarsi ad altro. Per me il giorno più difficile è invece il 9, quando tradizionalmente vado a mangiare e bere bene con mia moglie per il nostro anniversario. Che fare per non rovinarsi la giornata? Una belle giornata alle terme e in una spa. Esco da lì cotto come un raviolo a vapore, rigenerato e fresco, di buon umore, ma con il pensiero che tutto sommato una birra fresca dopo tutta questa perdita di liquidi, me la sarei anche meritata. La giornata successiva mi mette davanti molti ostacoli: ho due appuntamenti con clienti in distilleria per fare assaggi delle ricette che gli stiamo preparando, ai quali per fortuna i miei soci mi fanno da spalla, mentre io mi limito a dare descrizioni pittoresche sull'interessante lato olfattivo di ogni prodotto. Ora davanti ho solo un caro amico da Bologna che viene a trovarmi per la prima volta, nell'occasione di una masterclass e guest shift di Simone Caporale. Nel mondo del bar, l'equivalente di andare a un concerto degli Stones con i tappi nelle orecchie. Martina Bonci, bar manager di Gucci Giardino 25, mi mette in mano uno degli analcolici più buoni mai assaggiati, a base di anguria fermentata. Lo bevo di gusto, ritrovo fiducia nei prodotti analcolici, e puntualmente questa viene tradita nelle 24 ore successive, quando esco con un amico per il trittico aperitivo/cena/dopo cena. La prima parte va bene. Assaggio la versione zero gradi prodotta da un grande brand di gin, e devo dire che la trovo piacevole. A cena casco nel tranello prosecco analcolico. Alla richiesta gentile della cameriera di un altro bicchiere, mi sorprendo a rispondere seccamente «nemmeno con la bocca di un altro». Mi scuso, ma capisco che anche lei è del mio stesso parere. Nel dopocena invece vinco un Basil Smash analcolico che, grazie al fatto che il Basil Smash in fondo sa solo di basilico, mi risulta piuttosto gradevole.
A metà del percorso
Siamo alla metà di gennaio e finalmente, dopo un anno di attività della distilleria, con i soci e le rispettive compagne ci regaliamo la nostra prima cena aziendale. Si stappa un ottimo Dom Perignon. Che sia ottimo lo deduco dagli sguardi soddisfatti degli altri...
Dover fare rinunce era parte del gioco, ma trovarsi per lavoro a sviluppare la drink strategy per un brand su un mercato emergente estero non è così facile, quando non puoi contare sulle tue papille gustative. L'unica via d'uscita è pensare ai cocktail, farli e puntare sul parere di chi ti fidi: per fortuna a mia moglie le papille gustative funzionano bene, così come il suo senso critico. Missione compiuta, i drink erano (quasi) tutti buoni... prima o poi li assaggerò anch'io.
I giorni scorrono sul calendario, siamo al 19 gennaio e devo dire che sono due i significativi cambiamenti che ho riscontrato a livello fisico: ho il volto visibilmente meno gonfio, la pelle meno grassa e la bilancia mi dice che ho perso 2 chilogrammi. Strano, perché da quando non bevo ho spesso voglia di dolci, cosa che generalmente non mi accade; mi viene da pensare che il mio corpo voglia soppiantare in qualche modo gli zuccheri che è abituato ad assumere tramite l'alcol. Un fatto curioso, anche un po' inquietante. Il 20 è il giorno in cui ammetto pubblicamente un (spero) trascurabile sgarro. Sono ospite a Rieti per una masterclass pomeridiana e un turno serale da Depero. A pranzo faccio un brindisi con le persone che mi hanno invitato: una singola lacrima di vino nel bicchiere, per onorare l'ospitalità. A questa, più tardi, seguirà una singola lacrima di un rum che difficilmente avrei più avuto modo di assaggiare. Non mi sento in colpa, anche perché trascorro la serata bevendo dei notevolissimi analcolici prodotti da Luca Bruni, giovane talento che ho potuto conoscere in questo caso solo attraverso i suoi “No-groni”, ma che vorrei tornare a trovare una volta finito il mio proibizionismo.
Il 23 gennaio del 2023 è una di quelle date a cui, se sei un barman, non voi mancare: la serata di premiazione della guida di Blue Blazer. Ebbene, il mio masochismo ha dei limiti, per cui per quest'anno ho preferito saltare l'appuntamento.
Una lezione dal punto di vista professionale
Nel momento in cui starete leggendo saremo agli ultimi sgoccioli di gennaio, e ragionevolmente concluderò con successo il mio Dry January. Quali sono le mie considerazioni finali? Per prima cosa, non voglio cadere nella retorica del “mi sento molto meglio del solito” perché non è così. Mi sento esattamente come sempre. Talvolta ho sentito che avrei avuto voglia di una bella pinta di birra, alla fine di una giornata di lavoro. Probabilmente, se avessi mai incontrato una buona birra analcolica nel mio cammino, questa mi avrebbe ugualmente gratificato.
Non credo che l'assenza di alcol abbia avuto ripercussioni sul mio umore o che abbia in qualche modo limitato la capacità di godermi i momenti liberi. Ciò che trovo più interessante dell'esperienza è più dal punto di vista professionale: non bere alcol mi ha aiutato a immedesimarmi nell'esigenze delle persone che abitualmente non lo fanno. Provare tutto ciò che di analcolico mi si mettesse davanti, mi ha fatto capire che – salvo alcuni esempi che ho citato nell'articolo – nella maggior parte dei casi non siamo realmente attenti a dare una scelta interessante ai nostri clienti. Mettersi “nei panni di” penso possa essere un esercizio utile a migliorare l'offerta dietro il banco. Da febbraio in poi sarò più curioso nei confronti degli analcolici? Probabilmente sì, ma non significa che li ordinerò spesso. Rifarò Dry January il prossimo gennaio? Probabilmente sì. Ma sono anche molto curioso di scoprire che cos'è questo nuovo trend chiamato Rye January.