Con tanti secoli di storia alle spalle, il mondo dell’amaro italiano, oltre che molto ricco e variegato, è anche estremamente vitale. A testimoniarlo, insieme al crescente successo delle storiche etichette fuori dai confini nazionali, il fiorire di nuove produzioni che continuano ad arricchire il panorama, spesso con proposte che interpretano la tradizione in chiave contemporanea. È il caso di Amaro Rubino, amaro biologico e artigianale che ha fatto il suo esordio sul mercato a inizio 2020 e già capace di imporsi all’attenzione della scena internazionale, meritandosi nel 2022 il titolo di Miglior amaro alle erbe del mondo al World Liqueur Awards.
Amaro Rubino nasce dalla passione per la liquoristica di Matteo Rubino, giovane varesino che per dedicarsi al progetto e alla sua start up, la Rubino Spiriti, ha abbandonato la precedente attività di responsabile di uno spazio di arte contemporanea a Milano. Un progetto partito per gioco. «Da sempre mi cimento nella miscelazione di tinture alcoliche per realizzare liquori casalinghi – racconta Rubino -. In occasione del Natale 2016, un po’ per gioco e un po’ per piacere ho deciso di creare un liquore da regalare agli amici cui ho dato un nome divertente, l’Elisir del capriolo in amore, che è stato molto apprezzato. Da lì è nata la spinta a fare sul serio, di creare un vero prodotto da portare sul mercato: un amaro, che fosse espressione del territorio, naturale e sostenibile».
Due anni di ricerca
Lo sviluppo della ricetta ha richiesto due anni di lavoro, durante i quali il creatore dell’amaro ha approfondito le conoscenze sulle erbe prealpine e ha scovato e conosciuto piccoli biocoltivatori di erbe locali, diventati i fornitori delle materie prime. Amaro Rubino, tra i primi amari a livello internazionale certificati bio, viene infatti realizzato con 20 ingredienti, tra fiori, foglie, bacche e radici dell’area dei laghi e le Prealpi lombarde e piemontesi.
Una formula dove accanto ad aromatiche più comuni, come timo, salvia alloro, troviamo botaniche più caratterizzanti il territorio prealpino, come l’issopo di montagna, il cumino dei prati, la radice di tarassaco, quella di genziana, fiori e bacche di sambuco, l’ortica, e alle quali si aggiungono botaniche floreali, atipiche in un amaro tradizionale, come tiglio, malva, camomilla. «Unica botanica “aliena” dal contesto locale è la radice di liquirizia calabrese, a dare una nota fresca, omaggio alla terra dei miei nonni paterni e ricca di nuovi amari di grande successo, quali Jefferson e Rupes, anche loro trionfatori a World Liqueur Awards (leggi Jefferson Amaro Importante miglior liquore del mondo al World’s Drink Awards e Successo doppio per Amaro Rupes Gold al World Liqueur Awards) – Un altro ingrediente fondamentale è il miele, un millefiori che viene dalla Martica, una montagna delle Prealpi varesine, che invece dà all’amaro il suo carattere amabile».
Filiera corta e lavorazione artigianale
La produzione avviene presso un’azienda storica del Monferrato, certificata bio fin dagli anni Ottanta e scelta per la sua grande esperienza in questo campo, l’attenzione all’ambiente e la qualità della sue lavorazioni, eseguite tutte artigianalmente. Le botaniche da filiera corta vengono infuse in alcol al 55%, cui segue la torchiatura e l’aggiunta all’infuso di una soluzione a base di acqua ed estratto di liquirizia. Dopo un altro periodo di riposo, il preparato viene portato alla gradazione alcolica definitiva, pari al 25% in vol, attraverso l’aggiunta di acqua, fase durante la quale viene miscelato a freddo il miele.
Un amaro floreale
Il risultato di questo lavoro è un prodotto che si distingue dagli amari tradizionali per il suo gusto delicato e molto floreale, nel quale emergono in successione i sapori e gli aromi degli ingredienti che lo compongono. Inizia infatti con delicati sentori di camomilla e di fiori di sambuco, che accompagnano la dolcezza data dal miele, non stucchevole, ma morbida e che lascia spazio alle sensazioni erbacee e balsamiche portate soprattutto dall’issopo di montagna e dalle erbe aromatiche. Quindi arrivano le note speziate del cumino, subito seguite dall’amaricante della genziana e del tarassaco, per finire con una leggero eco di liquirizia, che non copre i sapori, ma lascia una sensazione di freschezza al palato.
Caratteristiche che, unite alla gradazione non elevata, fanno di Amaro Rubino un prodotto molto versatile. Ottimo come classico dopopasto, da servire fresco a una temperatura di 8-10 °C, è ideale anche come aperitivo, magari anche con l’aggiunta di soda e ghiaccio. E si fa apprezzare anche in miscelazione, come mostrano alcuni cocktail ideati dal brand, come, per fare qualche esempio, Varese-Torino, dove si miscela a vermouth rosso dando vita a un’originale rivisitazione di un grande classico quale il Milano-Torino, Prealpino Sour, firmato dal bartender Marco Timperanza, che lo ha unito a velluto di sciroppo d ginepro, succo di lime fresco, miele, guarnendo con scorza di arancia e rametto di timo, o El Dorado, creato da Giulio Virgolin del Gatti & Re di Udine, unendo un velluto di Amaro Rubino a rum chiaro cubano, rum scuro giamaicano, sciroppo di fava di tonka, succo di lime, da servire in una coppa con crusta di agrumi.
Un mercato in crescita
Forte di queste peculiarità e della filosofia green alla sua base, che abbraccia anche il pack, bottiglia di vetro con tappo in sughero, etichetta in carta Fcs e assenza di qualsiasi elemento in plastica, Amaro Rubino si sta conquistando un suo spazio sul mercato, sia sulla piazza nazionale sia su quelle estere, puntando come target ai locali di fascia medio-alta. «La distribuzione ancora non copre tutto il territorio nazionale. Vogliamo fare un passo alla volta: al momento siamo presenti, attraverso piccole realtà che condividono la nostra stessa filosofia, in aree strategiche del Centro-Nord, mentre per quanto riguarda l’estero dallo scorso anno abbiamo cominciato ad esportare negli Usa e in Australia e adesso stiamo stringendo accordi per portare l’Amaro anche in Francia, Germania e Islanda».