Maria Luisa Timoni, dalla sua San Paolo, è arrivata in Italia nel 2022, dopo aver trascorso tre anni ad Amsterdam. Ex Pr per hotellerie e realtà di enogastronomia con circa vent’anni di esperienza, nel 2024 ha deciso di dare un’ulteriore, fondamentale svolta alla sua vita: portare (più di) un po’ della sua cultura e della sua tradizione ai banconi del mondo. Blu Cachaça (tre varianti in formato da 70 cl) è la sua creatura, che peraltro le somiglia, verace, energica. Una “cachaça artigianale premium”, come racconta lei stessa al Milord Milano, prima tappa di un roadshow che ha visto il brand ambassador Marcio Silva (Exìmia San Paolo, volto notissimo della miscelazione internazionale) fare tappa in sei città italiane tra masterclass e guest shift.
«Succo fresco di canna da zucchero, fermentazione spontanea e con lieviti indigeni di 24 ore: poi una distillazione discontinua in alambicco di rame, un metodo artigianale che dà qualità: puntiamo a raccogliere solo il cuore della distillazione, la parte nobile, che in alambicco a colonna si perde spesso, mentre noi valorizziamo la parte nobile». Blu Cachaça, che si fregia di pratiche eccellenti anche in tema di sostenibilità (zero waste, implementazione di compost da residui organici, pannelli solari) è stata creata con questa idea di fondo, rappresentare «il vero prodotto che siamo abituati a bere in Brasile. Equivale a creare una categoria di prodotto premium che in Europa non esiste».
Perché hai deciso di lanciare il prodotto in Italia?
Il mercato italiano è di gran lunga il più interessante, perché da quest’anno l’Italia ha sorpassato la Germania ed è oggi lo stato europeo con il maggior consumo di cachaça. Certo non è paragonabile al mercato statunitense, dove la cachaça è già riconosciuta come denominazione d’origine, ma rappresenta un’opportunità da non perdere. E a dirla tutta, l’Italia rappresenta sempre un modello, per cui se un business del genere riesce in Italia, ha buone possibilità di farlo altrove.
In che modo Blu Cachaça si differenzia nel suo segmento?
Sarebbe una bugia dire che non si trovano altre cachaça artigianali sul mercato. Piuttosto va considerato come le referenze che si trovano al di fuori del Brasile siano spessissimo quelle industriali, che anche sotto il profilo della produzione non si curano di realizzare un prodotto di qualità, optando per una distillazione grossolana che include anche teste e code del processo. La cachaça in Brasile è prodotta ovunque, con lo stato di Mina Gerais in testa perché ha il terroir più adatto. Esistono migliaia di produttori che portano avanti una dimensione casalinga, e pur facendo eccellente qualità non arrivano neanche fuori dai confini statali perché non ne hanno i mezzi. Io mi impegno per portare proprio questa filosofia, questo approccio artigianale a un pubblico più ampio.
La cachaça può essere considerata come uno dei prodotti tradizionali per eccellenza, nel mondo. È sufficientemente conosciuta perché possa fare un salto di qualità?
Diciamo che si potrebbe fare molto di più, partendo dalle basi che abbiamo. Soltanto Usa, Messico e Cile riconoscono la cachaça come Doc, e questo è uno step fondamentale perché anche in Europa si valorizzi il prodotto come si deve.
Per non parlare degli stereotipi che la cachaça deve togliersi di dosso, parlando di miscelazione.
La Caipirinha ha permesso alla cachaça di uscire dai confini del Brasile, ma al tempo stesso ha limitato il prodotto a una sola ricetta. Ed è assurdo, perché la cachaça è un distillato incredibilmente versatile, esistono numerose varianti invecchiate che di conseguenza forniscono grande profondità di utilizzo. Basti pensare al Rabo de Galo, la variante Negroni che è arrivata a essere inclusa nella lista Iba: in Brasile si beve da anni e forse è ancora più famoso della Caipirinha. Se ne conosce poco, è necessario un lavoro di educazione e approfondimento a partire dai bartender, per arrivare al consumatore.
Come pensi Blu Cachaça sia meglio valorizzata in miscelazione?
Avendo tre varianti abbiamo parecchio spazio di manovra. Con la Pura si possono lavorare i sour, mentre la Carvalho, che invecchia in botti rovere americana vergine conferisce note più morbide e rotonde, si esprime benissimo in cocktail stile Old Fashioned. Amburana, che prende il nome dal legno indigeno brasiliano in cui invecchia, ha più spezia e profumo, per cui le varianti Manhattan si sposano benissimo.
Quali saranno i prossimi step per il lancio del prodotto in Europa?
Stiamo aprendo il mercato in Spagna, dove ho trovato una realtà dinamica e molto intrigante. Olanda, Germania e Portogallo sono altre dimensioni che sono certa daranno soddisfazione. In proiezione vorremmo arrivare poi nel Regno Unito e Asia.