«Cosa cerca il cliente quando entra al bar?». È un’ottima domanda da farsi, ma per seconda. Perché la prima deve essere: «Come faccio a farlo entrare?».
Chi imbrocca entrambe le risposte, non avrà bisogno di chiedersi «Come faccio a farlo tornare?» perché ci penserà da solo il cliente a ripresentarsi (volentieri) alla porta.
Un cliente che, ci dicono le ricerche di mercato, è oggi sempre più cauto e selettivo nelle scelte. Perché i soldi che ha in tasca, che sono meno di quelli che vorrebbe avere, li vuole spendere bene. Nel senso di uscire soddisfatto dall’esperienza. E per fare una buona esperienza, nel bar dove va “deve succedere qualcosa”. Qualcosa di piacevole, di coinvolgente, che lo faccia uscire meglio di come è entrato. Più sollevato, più gratificato; esagerando: più felice.
E allora il bar diventa un luogo di sostanza: dove quello che conta, oltre a offrire cibi e bevande che non lesinano sulla qualità (le scelte da “braccino corto” mai come oggi sortiscono l’effetto boomerang) è la capacità di offrire una parola antica tornata moderna: ospitalità.
Con un coté moderno che si chiama sostenibilità. Questa volta nel senso di fare meno cose, ma meglio. Non per francescanesimo, ma per realismo. Anche per la necessità di fare i conti, sempre più spesso, con meno persone dello staff di quelle che occorrono. E che devono riorientare l’attenzione da quello che stanno facendo (nel bicchiere, nel piatto) alla persona per la quale lo stanno preparando.
Non è più tempo di orpelli, di sofisticatezze estreme, di menu senza fine. Non diciamo “poco ma buono”, ma “non troppo, ma eccellente”.
Il mercato si divide in maniera sempre più netta tra chi lavora troppo poco e chi non riesce ad accontentare tutti. Questione di fortuna? «La fortuna è un dividendo del sudore. Più sudi, più diventi fortunato» è una delle frasi celebri di Ray Kroc, uno dei fondatori di McDonald’s.
Sudore, anche qui, inteso come sostanza. Quella cerebrale, che spinge a studiare come fare sempre meglio. E quella dei contenuti della relazione con il cliente.
Ma è richiesta più attenzione anche alle sostanze. Da maneggiare con cura. Nel cibo, è tempo di eliminare l’etichetta di “alternative” a tutte le scelte che sempre più persone fanno di rinunciare a questo, quello o quell’altro qualunque sia il motivo. Semplicemente, devono far parte del menu.
Nel beverage, va tenuta in seria considerazione (e adeguatamente soddisfatta) la tendenza di un numero crescente di giovani a ridurre o eliminare il tenore alcolico dai loro bicchieri. E il giro di vite dato dalla recente revisione del codice della strada contribuirà a rafforzare la tendenza.
La buona notizia è che il bar resta un luogo di riferimento per le persone di ieri e di oggi. Un luogo e un’esperienza a cui non si rinuncia a cuor leggero. Soprattutto se chi è dall’altra parte del banco è capace di trasformarlo in un “luogo del cuore”.