Ettari ed ettari di vigneti, ordinati in filari regolari, che si perdono a vista d’occhio, seguendo le dolci colline di un territorio di straordinaria bellezza, non a caso patrimonio dell’Unesco. Siamo nel sud del Piemonte, tra Asti e Alba, e quelli che vediamo sono i vigneti del Moscato bianco dalle cui uve nasce l’Asti docg: un vino spumante dalle peculiarità uniche, quali la naturale dolcezza e la ricchezza degli aromi, che ne hanno fatto le bollicine docg italiane più vendute nel mondo. Siamo arrivati in questi luoghi con Cinzano, che ha proprio nella produzione dell’Asti docg uno dei suoi fiori all’occhiello, per l’inizio della vendemmia e per percorrere l’appassionante viaggio che dalla vigna porta questa eccellenza del made in Italy nel bicchiere.
La nostra Cinzano Experience prende il via da Palazzo Gastaldi, lo storico edificio di Asti dove ha sede il Consorzio di tutela dell’Asti docg. Istituito nel 1932 e riconosciuto due anni più tardi, da allora il Consorzio vigila su ogni aspetto della produzione, alla luce di un disciplinare che stabilisce regole in vigna, in cantina e nel mercato, coprendo quindi tutti gli anelli della filiera, e protegge il prodotto da abusi e contraffazioni. «Un’attività, quest’ultima, divenuta prioritaria – spiega il presidente, Gianni Marzagalli – soprattutto dopo gli ultimi casi di contraffazione verificatisi su alcuni mercati esteri». Del resto, la coltivazione del Moscato bianco è una risorsa importante di questo territorio, che vede impegnate oltre 4000 aziende viticole e si estende su quasi 10.000 ettari di terreno, con una media di 2 ettari per azienda. Piccole realtà, in molti casi portate avanti da giovani che hanno raccolto l’eredità, più che dei padri, dei nonni e che con tecniche secolari coltivano i vigneti, dove è vietata ogni pratica di forzatura.
La tappa successiva è nei vigneti dell’Azienda agricola Metilde, in località Bricco Pagliari di Alba, uno dei circa 500 conferitori di uve Moscato di Cinzano. Armati di guanti e forbici ci si accinge alla vendemmia, che inizia quando i grappoli sono maturi e le sostanze aromatiche raggiungono il massimo accumulo nell’acino, solitamente nei primi giorni di settembre, e prosegue per tre settimane. Sì perché la raccolta delle uve da queste parti si effettua ancora a mano, sia perché le pendenze dei terreni, quasi la metà dei quali ha inclinazioni superiori ai 17°, non permette la meccanizzazione dell’operazione, sia, soprattutto, per l’attenzione necessaria a preservare l’integrità dei grappoli e trasferire intatto il patrimonio aromatico dell’uva al vino, patrimonio aromatico che costituisce uno degli elementi di tipicità dell’Asti docg.
Una volta raccolte, le uve raggiungono le Cantine Rolando a Mango (provincia di Cuneo). All’ingresso del sito troviamo quello che può essere considerato un check-point: la preziosa materia prima viene sottoposta a controllo a campione, per mezzo di una trivella che la preleva qualche chicco dal trattore, lo pigia e trasferisce il succo al laboratorio per valutarne gradazione zuccherina, componente acida e indici di sanità. I mezzi, in fila, non hanno molto da aspettare, perché il tutto avviene in circa un minuto di tempo. Di ogni carico viene stilata una scheda, una sorta di carta d’identità, che ne riporta tutti dati, ma solo quello che soddisfa i parametri passa alla fase successiva.
Ricevuto l’ok le uve vengono scaricate all’interno di una vasca da dove affluiscono alle macchine per la pigiatura, «presse a polmone verticali che esauriscono l’uva per ottenere il mosto», precisa Gianni Malerba, l’enologo che sovrintende al sito. Il mosto viene filtrato e poi refrigerato per evitare l’avvio di fermentazioni indesiderate all’interno di vasche frigorifere di acciaio a una temperatura di 0 °C, dove resta conservato fino all’avvio della fermentazione.
Il nostro viaggio nell’universo dell’Asti prosegue seguendo la via del mosto, che da Mango, su camion coibentati, procede alla volta dello stabilimento del gruppo Campari a Novi Ligure (Alessandria). Ad accoglierci è Fabrizio Costa, responsabile della produzione. Il sito è suddiviso in vare aree ognuna delle quali dedicata alla produzione di alcune delle eccellenze del gruppo, tra le quali il mitico bitter. Quelle dedicate all’Asti sono le aree 1 e 2. «La fermentazione del mosto, secondo il disciplinare, deve durare almeno un mese», premette Costa. Il processo avviene all’interno di grandi autoclavi e viene avviato portando la temperatura del mosto intorno ai 20 °C e utilizzando lieviti selezionati. Quando il grado alcolico ha raggiunto il 5,5% si procede alla presa di spuma per poi arrestare la fermentazione attraverso la refrigerazione, ovvero portando la temperatura a -3 °C. «Giocando sulla temperatura, impediamo che la fermentazione sia totale, che porterebbe a un gusto più secco e amaro – spiega Costa -. Stoppando il processo andiamo quindi a esaltare la peculiarità dell’Asti, uno dei pochi vini al mondo che conserva il sapore e gli aromi dell’uva fresca». A questo punto lo spumante è pronto per essere imbottigliato.