Formazione, cultura del bar, interazione digitale e rapporto costante con i bartender per il lancio di nuove referenze. Le scelte del Ceo della Lucas Bols, Huub Van Doorne
Lo scorso mese alla discoteca Escape di Amsterdam si è svolta la finalissima del concorso Bols Bartending World Championship 2013. La serata tutta frizzi e lazzi è stata il degno suggello di una galoppata durata sei mesi che ha coinvolto, grazie a una prima intensa scrematura sul web, tremila bartender di sessantasei Paesi.
Sul palco di gara sono arrivati soltanto in dodici, selezionati dopo una semifinale con ventuno partecipanti. Delle fasi finali hanno fatto parte anche due concorrenti di casa nostra: Tiziana Borreani (protagonista del Drink Team di Bargiornale) e Ciro Adriano de Georgio, anche lui membro nel 2012 della nostra squadra speciale, ma in rappresentanza dei Paesi Bassi. Poche ore prima che Rusty Cerven del Connaught Bar di Londra fosse incoronato barman dell’anno di casa Bols abbiamo incontrato Huun Van Doorne, artefice di una delle operazioni di rilancio più felici dell’ultimo decennio.
L’incontro avviene ai piani alti del quartiere generale della Lucas Bols L.V. collocato nel distretto dei musei di Amsterdam, a pochi passi dal Van Gogh Museum e dal Rijksmuseum. In un’atmosfera rilassata come in una tiepida giornata primaverile lungo i canali, iniziamo parlando del rilancio del “più antico marchio di distillati”. Nel 2006, dopo un lungo periodo di assenza, la Lucas Bols B.V. è ritornata nella città nella quale tutto ha avuto inizio. Era il 1575 e il genever, l’antenato di tutti i gin, era popolare su tutte le rotte marittime. Oggi Bols produce una quarantina di liquori, Bols Corenwyn e una gamma di genever, tra i quali spicca Bols Genever, e Galliano, l’antico liquore di origine livornese. Dal 2004 l’azienda olandese ha stretto un’alleanza strategica con Gancia per il mercato italiano.
In che modo Bols influenza gli equilibri della bar industry?
Il nostro concorso fa parte in realtà di un progetto, di più ampio respiro, rivolto alla formazione. All’interno della nostra House of Bols ospitiamo il museo Cocktail & Genever Experience e la scuola di formazione Bols Bartending Academy. Entrambe le strutture, anche se con differenti modalità di fruizione, sono rivolte sia al pubblico dei professionisti sia ai semplici appassionati. Ci siamo molto impegnati nel costruire una rete di contatti con i bartender di tutto il mondo. Dal 2007 a oggi, con i nostri corsi, abbiamo formato circa 5.000 bartender. A questo si aggiunge l’intensa attività sui social media attraverso la nostra pagina Facebook “Bols around the world” nella quale ci confrontiamo su nuove idee e progetti. Da ultimo, ma non certo per importanza, sviluppiamo i nostri nuovi prodotti in stretta collaborazione con i bartender.
Chiediamo loro informazioni sulle nuove tendenze, sulle cose più interessanti che hanno visto in giro, sulle esigenze lavorative. Il nostro è un approccio “local”, nel senso che realizziamo prodotti in base alla domanda dei singoli Paesi.
Avete appena presentato Bols Honey. Qual è stata la molla?
Siamo andati alla ricerca di un nuovo gusto che rispondesse alle esigenze dei bartender. Negli ultimi tempi si è diffusa la moda dei drink esotici, o tiki, che in molti casi prevedono una base di miele o di sciroppo di miele. Si tratta, nella maggior parte dei casi, di prodotti fatti in casa con risultati più o meno soddisfacenti. Per questa ragione abbiamo scelto di fare ricerca su un prodotto standard che facilitasse la vita agli operatori e che fosse adatto a varie tipologie di preparazioni al sapore di miele. Abbiamo l’impressione di aver colmato un gap.
Qual è stata la sua più grande soddisfazione nel lavorare con i bartender?
È complesso entrare in una relazione armonica con i barman. C’è sempre una distanza da colmare e spesso si fa molta fatica. La prima regola è confrontarsi in maniera molto seria, essere trasparenti e diretti. La mia più grande soddisfazione è stata quella di essere accettato come partner e di entrare a far parte della loro cerchia. Per l’azienda questo significa avere un rapporto diretto, stretto e personale con la comunità. Ed è il massimo a cui potessi aspirare.
In quali mercati siete più forti?
Innanzitutto nei Paesi Bassi con tutti i nostri prodotti, dai genever ai liquori. Per quanto riguarda il mercato estero andiamo molto bene, specialmente coi liquori, in Giappone. Nel Paese del Sol Levante siamo uno dei pochi brand internazionali in crescita. A ruota seguono le grandi esportazioni verso gli Stati Uniti, dove abbiamo di recente aperto una filiale, e l’Argentina.
Cosa ci può dire del mercato italiano?
Il vostro è un mercato molto importante per noi. Abbiamo avuto performance eccellenti, specialmente negli ultimi tre- quattro anni. Nonostante infatti la crisi diffusa e il calo dei consumi del fuori casa, che hanno rallentato un nostro potenziale exploit, mi considero davvero soddisfatto.Anche in Italia stiamo puntando su Galliano L’Autentico, un liquore che abbiamo rilanciato nella versione originale, datata 1896, di Arturo Vaccari. Il mio sogno è che i bartender italiani tornino ad abbracciare questo prodotto che fa parte integrante della loro cultura e delle loro tradizioni. Paradossalmente il liquore è più apprezzato dai bartender italiani che lavorano all’estero, piuttosto che dai loro connazionali in Italia. Sinceramente non riesco a spiegarmelo. Al di là dei prodotti ho avuto modo di apprezzare il valore della vostra bar industry. Era già elevato prima, ora il livello dei barman italiani è davvero alle stelle. C’è molta qualità e stile dalle vostre parti.
Quali saranno le tendenze forti del prossimo periodo?
Credo che andranno forte due generi di referenze. Continuerà a crescere, specialmente in America, la quota di vodka aromatizzate a tutti gusti, compreso quello di gomma da masticare. Fortunatamente per noi, accanto a queste soluzioni di massa, ci sarà spazio per prodotti onesti e autentici. Altra tendenza forte del periodo è l’enorme diffusione della cocktail culture nei Paesi dell’Est Europa. I barman da quelle parti sono sempre più preparati ed hanno, allo stesso tempo, molta fame di apprendere.
I social network, da Facebook a Twitter, hanno cambiato il modo di comunicare di molte aziende del settore. Spesso sono un ottimo volano per gli affari, ma allo stesso tempo possono generare insidie. Voi quali strategie di difesa adottate?
Facciamo molta attenzione. I social media vanno gestiti in modo molto serio, altrimenti si possono rivoltare contro. Non diamo spazio alle polemiche sterili, alle battute sull’alcol e ad altre cose stupide. Sulle nostre pagine usiamo un linguaggio chiaro, senza troppe complicazioni. Un atteggiamento onesto e trasparente, anche in questo caso, è sicuramente premiante.