Essere pasticcere ma padroneggiare anche le basi di cucina, conoscere la tradizione per cavalcare l’innovazione. Il “re del cioccolato” si racconta.
Tutti ormai lo conoscono come “il re del cioccolato”. Ernst Knam, tedesco di nascita ma milanese ormai da decenni, sa mescolare il rigore della mentalità teutonica con la creatività di un grande maestro, che se pure ha fatto della pasticceria la sua “cifra” inconfondibile, vanta una professionalità a tutto tondo, che spazia dal dolce al salato, dalla pasticceria alla cucina vera e propria. Perché oltre alla sua pasticeria Antica Arte del Dolce - completamente rinnovata un anno fa - a portare la sua inconfondibile K c’è anche un affermato catering; che marcia come un treno, conteso fra eventi, sfilate di moda, compleanni vip e chi più ne ha più ne metta.
Incontriamo Ernst nel suo quartier generale, in via Anfossi a Milano e, nel pieno della bagarre pre-natalizia tipica di una pasticceria in ottima salute, con lui facciamo il punto sulla attività di pasticcere e sulla evoluzione della professione e del mondo dolce stesso.
Tu sei un professionista a tutto tondo, che spazia dal dolce al salato. Quanto è fondamentale questa doppia competenza per il successo di una pasticceria?
La pasticceria fa parte della cucina. E le tecniche di cucina possono essere applicate in pasticceria e viceversa. Se sei completo hai molte più possibilità di stare sul mercato. Poi è vero che uno si specializza e si dedica a quello che predilige, ma è importante governare entrambe le competenze, soprattutto se si ha una propria impresa. E tengo a sottolineare che la parte salata in pasticceria non significa solo pizzette e salatini. C’è molto altro che si può fare.
Nel mondo dolce innovare rappresenta un facile richiamo nei confronti del consumatore, affidarsi alla tradizione una certezza. Che ne pensi?
Posso innovare solo se conosco la tradizione, se non ho queste basi non posso creare nulla di valido. Anche un grande come Ferran Adrià, che è un innovatore per eccellenza, ha dovuto approfondire tutta la tradizione della cucina spagnola e mondiale, prima di poter diventare l’artefice della cucina molecolare. Oggi invece ci sono giovani cuochi che vogliono tutto e subito (e parlo del successo), ma non hanno basi abbastanza solide; anche in pasticceria succede qualcosa di simile… si vedono i grandi pasticceri alla tv, si leggono i libri e si pensa che basti quello per crearsi le competenze. Non è così. Serve conoscere le materie prime, altrimenti fai solo dei piatti che forse possono anche stupire, ma che non hanno un senso dal punto di vista gastronomico. E nei contest tv a cui ho partecipato ne ho viste parecchie di queste persone.
Una tendenza in atto nel mondo della pasticceria è quella di introdurre il corner caffetteria, per stimolare una più costante affluenza del pubblico a tutte le ore e tutti i giorni della settimana. Che ne pensi?
Che bisogna sapere fare bene i conti. In linea di massima le possibilità sono due: realizzare una pasticceria da asporto o una pasticceria-caffetteria con servizio ai tavoli. Per fare una scelta sensata bisogna conoscere le abitudini del posto: in Italia non si usa frequentare molto la pasticceria per una colazione sostanziosa, c’è più l’abitudine di prendere un caffè e via; negli altri Paesi europei invece è più diffusa l’abitudine di stare nel locale non solo la mattina a colazione, ma anche per una cioccolata o una fetta di torta. Ma dato che l’attività deve produrre un utile, bisogna calcolare costi e benefici. Io ho fatto una valutazione, fino da quando ho aperto la mia pasticceria, ormai 25 anni fa, scegliendo la strada della pasticceria classica da asporto e spiego perché. Se scelgo la strada della caffetteria (con o senza tavoli), devo essere consapevole che ho bisogno di essere pronto alle 7 della mattina con i croissant; il che significa che i pasticceri devono arrivare durante la notte, ovvero in orario straordinario; a sua volta il barista deve essere pronto per le 6 di mattina. Di solito va bene se vendo 100-150 brioche, che in genere, con il caffè o il cappuccino, si aggira attorno ai 2 euro (al Sud anche meno). A conti fatti, non mi conviene. Ho anche fatto la prova, anni fa, di produrre brioche e croissant per le caffetterie, ma dopo un anno ho smesso perché ho fatto un calcolo: per ottenere un giusto guadagno avrei dovuto vendere a terzi oltre 2.700 brioche al giorno, tenendo in considerazione che tutti vogliono il prodotto alle 7 di mattina e quindi servono più mezzi di trasporto per le consegne. Questi sono a mio avviso dei motivi per cui molte pasticcerie oggi sono in affanno dal punto di vista economico.
Tu hai sempre amato le competizioni e non hai mai esitato a metterti in gioco. Da un punto di vista professionale, cosa ti danno le gare e come ci si prepara?
Come in ogni mestiere servono testa, cuore, passione. A parte questo, è basilare conoscere le materie prime e per farlo bisogna annusare, toccare, assaggiare, aprirsi a tutto. Se si va all’estero suggerisco di girare per i mercati, scoprire nuovi prodotti, vedere come cucinano sul posto… sono tutte esperienze utili a chi fa la nostra professione. A parte questo mi sento di dare un consiglio ai futuri pasticceri italiani: imparate le lingue, se possibile fate l’apprendistato fuori dall’Italia, viaggiate in altri Paesi così da avere una visione ampia del mondo dolce. E poi, visto che in una attività in proprio i numeri contano, costruitevi una visione imprenditoriale, producete non per appagare il vostro ego, ma il vostro pubblico. Se un cliente mi dice che una mia torta è buona ho già vinto.