Martin Hudak è in carica come senior bartender nel tempio. Lavora all’American Bar del Savoy Hotel di Londra nella squadra guidata da Erik Lorincz.
Fa parte dello stesso team che ha vinto il premio “Best International Bar Team” al Tales of the Cocktail nel 2016 e il titolo di bar miglior d’Europa per il “World’s 50 Best Bars”. Hudak lavora nel tempio. Quello dei grandi nomi della miscelazione. Nell’albero genealogico dell’American Bar potete ritrovare Ada Coleman, la prima bar manager nota della storia; passando per il mitico Harry Craddock e, in anni molto più recenti, la leggenda vivente Peter Dorelli.
Hudak è il campione del mondo in carica in Coffee in Good Spirits, la massima competizione internazionale dedicata alla miscelazione con caffè. Ed è anche il primo a sostenere che nelle gare non è mai scontato vincere. «Vuoi sapere - ride - qual è stata la mia più grande soddisfazione quando ho vinto? Che dopo sette anni, finalmente, ce l’ho fatta. È un’altra grande soddisfazione che si aggiunge a un sogno già coronato. Lavorare all’American Bar è il più grande privilegio della mia vita. Un’opportunità che viene una sola volta nella vita. Ogni volta che vado dietro a quel banco e preparo drink lo faccio con grande umiltà. So quanto sia leggendario e lo tratto col dovuto rispetto».
Martin Hudák nasce a Prešov, in Slovacchia e inizia la sua carriera subito dopo il diploma di scuola superiore. Presto scopre la sua doppia passione per il mondo del caffè e per i cocktail. Ci prova, ci gioca, li combina insieme e dopo cinque anni di paziente e duro apprendistato prende un biglietto per Londra per raggiungere la squadra del leggendario Savoy. Parallelamente continua a mettersi in gioco nelle varie sfide legate al mondo della mixology.
Ma perché uno già arrivato come te continua a fare gare e qual è la cosa più importante che hai appreso partecipando alle cocktail competition?
Perché non importa quante volte fallisci. L’importante è rialzarsi e provarci ancora. E poi c’è la vittoria più importante di tutte: conoscere nuova gente, fare amicizia, condividere le esperienze con persone che vengono da ogni parte del mondo.
Quali sono le regole d’oro per realizzare un buon cocktail a base di caffè?
Semplice: cerco di usare sempre caffè fresco e una buona qualità di ghiaccio.
Il tuo cocktail preferito a base di caffè l’Irish Coffee. Lo hai fatto diventare un tuo marchio di fabbrica. Puoi rivelarci il tuo segreto?
Un semplice Irish Coffee può diventare un capolavoro semplicente guardando ai dettagli. Pensa alla panna, agli ingredienti con cui la realizzi; al livello di dolcezza del tuo zucchero o eventualmente a un miele che potrebbe dare delle ricche note floreali alla miscela. E poi ovviamente concentrati sul whiskey. Io preferisco distillati maturati in botti per sherry. Per quanto riguarda il caffè ho una predilezione per i prodotti lavorati con metodi naturali. Danno maggiore corpo e un gusto più succoso.
Qual è il consiglio che vuoi rivolgere a chi si avvicina alla mixology con caffè?
Non concentrarti troppo sulle grammature o sulla tecnica con cui shakeri. Di fonte a te hai una persona che ha bisogno della tua attenzione. Noi non vendiamo un drink, ma un’esperienza. Per quello che mi riguarda il drink è solo una parte di questa esperienza, ma non la più importante. Io ho lavorato e continuo a lavorare per migliorare nell’ospitalità e nell’attitudine ad intrattenere piacevolmente i clienti.
Ma i vostri clienti che ne dicono? All’American Bar del Savoy chiedono davvero cocktail a base di caffè?
Ma certamente! Siamo in un momento di esplosione del fenomeno caffè. Un trend che si combina con un altro elemento determinante: la voglia di sperimentare degli ospiti. Questo ci offre l’opportunità, non solo di miscelare grandi classici come l’Irish Coffee o l’Espresso Martini, ma di confezionare delle ricette completamente nuove a base di infusioni di caffè, cold brew o altre tecniche innovative.
A proposito di novità, cosa prevedi per il futuro?
L’unica ricetta che ci può salvare è una maggiore attenzione a chi ci sta di fronte. Questo significa anche non esagerare con grandi decorazioni o perfect serve. Io mi auguro che in futuro ci sia un approccio più sostenibile. Con meno spazzatura. Pensate bene cosa fare degli scarti: ridurrete i costi per il bar e farete un favore all’ambiente.
Chiudiamo da dove siamo partiti. A giugno, ai campionati del mondo di Budapest, hai conquistato il primo posto. Puoi raccontare cosa cercano i giudici dai baristi che partecipano alla gara?
Un buon equilibrio nel rapporto tra i caffè utilizzati e i vari ingredienti del cocktail. Ci vuole attenzione per tutto. La creatività nella realizzazione della ricetta deve combinarsi a una padronanza assoluta della merceologia. Devi sapere tutto dalla A alla Z sia sui caffè sia sui vari spirits che usi in miscelazione. Un altro elemento chiave nella valutazione è la capacità di essere empatici ed ospitali. Infine il carisma. Quando fai una gara, o quando stai dietro il banco di un bar, poco importa che sia famoso o meno, devi essere prima di tutto un buon oste.