Allo ZZ's Clam Bar di New York è il bicchiere a ispirare il drink e ci sono solo 20 drink in carta, ognuno con il nome dell’ingrediente base e servito in “bicchieri anomali", da un Buddha a un peperone.
Nel cuore di New York, il piccolo ZZ’s Clam Bar (una stella Michelin conquistata nel 2014-15), nel Greenwich Village, ha un sito web, ma niente orari e giorni d’apertura e chiusura. Solo un numero telefonico. Lo gestisce un trio di veterani e partner di gran successo della ristorazione newyorchese, con il loro Major Food Group (MFG): Mario Carbone, Rich Torrisi e Jeff Zalaznic (il cui soprannome è ZZ, da cui il nome del locale). Gli altri ristoranti del gruppo - Torrisi Italian Specialties, Carbone, Dirty French, e due Parm (uno al Yankee Stadium) - registrano spesso il tutto esaurito; e c’è perfino un Carbone ad Hong Kong. Insomma, gente che non sbaglia un colpo. Alla porta dello ZZ sta un uomo elegante, che si presenta come il “maggiordomo”, tanto per entrare subito nel mood; qui la prenotazione è richiesta per cenare, ma si può entrare anche solo per bere. Il locale è piccolo, con 4 tavolini stretti l’uno all’altro (per non più di 12 persone), con sedie dorate, pavimenti a schacchiera e tappezerie anni ‘50; il tutto illuminato da un lampadario di cristallo e lampade a olio. E buona musica jazz a fare da sottofondo.
Melting pot di sapori
Il più caro dei “piattini” è il Carpaccio (chianina, ricci di mare e caviale) a 105 dollari. Non mancano le vongole (che danno il nome al locale), anche se non è un vero e proprio “clam bar”.
I suoi 20 cocktail (Banana, Iced Coffee, Papaya, Sarsaparilla, Cilantro, Chai, Pistachio, Apple, Ginger, Cardamom, Mango, Cherry, Pear, Menthe, Coffee, Marsala, Almond, Pineapple, Coconut e Smoke) costano tutti 20 dollari. A chiudere la drink list il punch, a 55 dollari.
«Tutto ciò che facciamo qui è meticciato per renderlo ancora migliore», puntualizza Thomas Waugh, beverage director e mixologist, che abitualmente indossa uno smoking bianco da banda militare e papillon dorato, abbinato a un paio di bermuda.
Ispirazione global, bicchieri insoliti
«Per quanto complicati siano i nostri drink riesco a prepararli in non più di 5 minuti, che è già abbastanza - prosegue Waugh- e hanno a che fare con tutto ciò che ci sta attorno, gli odori, i suoni, le cose che tocchiamo».
I suoi cocktail hanno una struttura classica, ma sono collocati in un contesto tutto fantasioso. Perché ci vuole visione e intraprendenza, oltre a una sviluppata immaginazione, per servire un drink in un Budda di ceramica, nel guscio di una noce di cocco, in un ananas di ottone o in un peperone poblano.
Per il bicchiere a forma di Budda sorridente, che presenta un foro nel pancino per infilarci la cannuccia, spiega: «Sapevo di voler creare un drink spirituale». Lo ha chiamato Cardamom, ed è a base di chartreuse verde V.E.P., prodotta dai monaci francesi, gin perché evoca gli elisir botanici, tintura di cardamomo, sciroppo di fagioli, vaniglia e rum agricole.
Dato che non ama i bicchieri comuni, Waugh si è messo a caccia di contenitori strani su eBay, Etsy e aste online. Così se la maggior parte dei bartender parte con l’idea di un drink e solo in seguito lo accoppia a un bicchiere adatto, Waugh fa l’opposto e spesso lascia al bicchiere il ruolo di ispirarlo nel concetto e struttura del cocktail. Spiega: «Rendiamo tutto immaginifico, fornendo qualcosa in più del solo sapore. Tutti usano contenitori di scarso valore, mentre io cerco di trovare bicchieri che abbiano per esempio uno stelo particolare, oppure bordi sottilissimi o immagini impresse ecc. Si sa che ciò che si annusa è poi ciò che si gusta; io cerco d’applicare quello stesso principio alle cose che si vedono, toccano e sentono». Nel suo Cilantro, dentro al peperone poblano c’è una gran quantità di ghiaccio tritato e un mix di cetriolo, granatina e Tequila blanco infuso al jalapeño (5 peperoni spezzettati per bottiglia, per 20 minuti), con un paio di gocce di un’essenza superconcentrata di coriandolo. Quando si versa il drink nel poblano, diventa ancor più speziato. Il peperone è poi posto in un bicchiere vintage pilsner. Rivela Waugh: «L’idea mi è venuta in un bar di Guadalajara, che serviva Tequila puro nel poblano».
Ghiaccio e drink
Gli chiediamo quanto ritiene sia importante il ghiaccio in un cocktail. «Dipende da come è bevuto - risponde -; se lentamente allora è molto importante; se velocemente invece perde importanza. Per contro non diamo troppo peso al nome dei drink, tanto che abbiamo deciso di elencarli al pari del menu di un ristorante, con riferimenti al sapore o all’ingrediente base, lasciando il resto all’immaginazione».