“Vogliamo un prezzo equo per l’espresso” è il tema quantomai attuale dell’incontro organizzato a Sigep 2020 da Bargiornale, che per la prima volta ha riunito i rappresentanti delle principali associazioni del mondo del caffè ed esponenti di spicco del settore: Inei, Sca Italy e Aicaf. Un momento di confronto che ha fatto emergere le criticità del comparto e alcune urgenze, tra cui spiccano la necessità di una corretta formazione del barista e della trasmissione delle informazioni al consumatore affinché possa riconoscere e premiare col giusto prezzo un caffè di qualità.
È una rivoluzione culturale difficile da compiere: il prezzo continua ad essere la condizione di base per la scelta di una miscela per il barista; il consumatore finale, dal canto suo, è ancorato a stereotipi che poco hanno a che fare con l’effettiva qualità. Qualcosa sta cambiando, ma il lavoro da fare è grande: unire le forze potrebbe dare più incisività a iniziative sul tema. In realtà tutta la filiera merita di più: non sono solo il bar e la torrefazione che dovrebbero trarre profitto dal rialzo del prezzo, ma l’intera catena produttiva, a cominciare dai coltivatori, che soffrono per le bassissime quotazioni del caffè.
I prezzi in Italia
Alcuni dati Fipe aiutano a inquadrare la situazione. In Italia a novembre 2019 il prezzo medio dell’espresso ha raggiunto 1 euro (+1,3% nell’ultimo anno). I dati mostrano inoltre che il bar generalista, che punta solo su caffetteria e colazione, è il format più in crisi. Se la gastronomia per molti bar, specie nei centri urbani, ha rappresentato una buona opportunità, oggi una indiscriminata politica del “tutti fanno tutto” sta mettendo in crisi questo vantaggio. Ancora. Ogni anno sono oltre 12mila i bar che cessano l’attività: tra le imprese di ristorazione il bar è l’unico format che presenta un decremento, sebbene contenuto nello 0,5%.
I pareri degli esperti
Superare la soglia psicologica dell’euro è più che mai necessario, ma per primo il barista sembra non accorgersene perché, come sottolinea Luca Ramoni, presidente Aicaf: «Non sa fare i conti. Non sa cosa siano il food & beverage cost, il ricarico e non sa calcolare il margine di contribuzione. Tolto dall’incasso il costo dell’espresso, non si può pensare che tutto quello che rimane sia guadagno: bisogna considerare la parte che permette di coprire i costi fissi. Un dato medio di cassetto di un locale italiano è 350 euro al giorno, con un guadagno del 10-11%: è difficile stare in piedi con questi valori. Per questo il prezzo della tazzina deve aumentare».
Alberto Polojac, coordinatore Sca Italy, afferma che: «Un buon caffè deve prendere il via dalla cura nell’approvvigionamento per avere una materia prima senza difetti, al fine di ottenere il migliore risultato e poterlo ripetere. Qualità significa anche formare il barista per preparare un ottimo espresso e permettergli di comunicarlo nel modo più corretto».
Quest’opera di informazione può dare una mano a chi lavora bene, osserva Barbara Chiassai, ad di Inei: «Se sono certa di preparare un caffè di qualità, perché non farlo pagare di più? Ovviamente devo avere gli strumenti per farlo comprendere al cliente. Se al bar chiedo un’insalata, in un locale la potrò trovare a 3, in un altro a 4, 5, 6 euro: da un costo più elevato mi aspetto una preparazione e un servizio all’altezza, che so riconoscere pagando il giusto». Lo stesso dovrebbe avvenire con la tazzina. È un passo che si può compiere, come testimonia Francesco Sanapo che cinque anni fa ha aperto Ditta Artigianale (Fi) caffetteria e torrefazione, il primo ad avere in listino l’espresso a 1,50. «Non è stato semplice. Mi sono trovato di fronte a situazioni difficili, in cui ho messo la faccia, spiegando il motivo del prezzo. Ditta Artigianale è formata da diversi baristi e torrefattori competenti, che hanno reso necessario un aumento del prezzo. È scandaloso pensare di pagare un euro la tazzina, persino a prescindere dalla qualità; ed è impossibile se si ha un barista che ha seguito un percorso formativo di livello».
Il problema, osserva Andrea Lattuada della scuola di formazione 9Bar di Rivanazzano Terme (Pv), è soprattutto culturale: «L’Italia non è un Paese produttore, non conosciamo la materia prima. Il barista deve essere l’educatore del cliente, ma quanti hanno mai chiesto informazioni al torrefattore? L’espresso non può essere venduto al di sotto di 1 euro e 50. L’Italia vuol fare diventare l’espresso patrimonio dell’Unesco (iniziativa in cui è impegnato il Consorzio di tutela del Caffè Espresso Italiano Tradizionale, ndr) e gli riconosce il valore di un euro? Non ha senso».
Il cliente è più pronto degli operatori?
Alcune ricerche di mercato hanno evidenziato che il cliente si dice disposto a spendere di più per un espresso di qualità, ma chi la sa riconoscere? Una mano al necessario salto culturale la potrebbero dare le scuole alberghiere, che tuttavia investono poco nel bar, puntando soprattutto sulla cucina. Forse, osserva Lattuada, ci vorranno ancora 20 anni, ma l’auspicio è che non succeda più che persone che frequentano corsi non possano poi mettere in pratica ciò che hanno appreso perché il titolare non lo permette, vedendosi costretti ad andare all’estero. In chiusura, Sanapo, invita le associazioni a collaborare tra loro, e si propone quale ambassador dell’espresso italiano, rivolgendo un appello: «Se le torrefazioni smettono di fare le finanziarie dei baristi e puntano l’attenzione sul prodotto e sul servizio, vinciamo».