Lo scenario offerto dall’analisi di Competitive Data sulle prime 270 società di capitali nel settore del caffè per il triennio 2019-2021 si mostra complesso, con luci e ombre.
I dati mostrano un fatturato aggregato in crescita del 12,6% nel 2021 con Sud, Isole e Nord Est che registrano i migliori risultati rispettivamente con un +16,4% la prima e +16,1% le seconde; seguono le regioni del Centro (+12%) e quelle del Nord Ovest (+10%). La fascia più colpita dalla crisi legata al covid, spesso anche a causa di una distribuzione esclusiva al canale horeca, con un fatturato inferiore a 10 milioni di euro hanno registrato un +18,1%, seguite da un +17,2% delle attività tra 10 e 30 milioni; più distanziate quelle con fatturate superiore ai 30 milioni: +10,9%
Gli utili complessivi segnano una crescita soddisfacente nel 2021 con un aumento complessivo del 22%, pari a un controvalore di199,301 mld di euro (163,320 nel 2020), mentre l’incidenza percentuale dell’utile sul fatturato passa dal 3,5% del 2000 al 3,8% dell’anno successivo. Le aziende che chiudono l’esercizio in utile crescono dalle 148 del 2020 alle 206 del 2021, mentre si dimezzano quelle che risultano in perdita, passate dalle 109 unità del 2020 alle 52 del 2021.
«I ricavi sono in crescita - osserva Giandomenico De Franco, amministratore unico di Competitive Data -, ma i margini sono in sofferenza. Se guardiamo il margine operativo lordo (Ebitda), riscontriamo una crescita al 9,3% nel 2001 contro il 4,9 del 2020, che tuttavia rimane al di sotto di quella che in genere è considerata la soglia minima per il settore, del 10%. Ciò significa che c'è un effetto zavorra sulle torrefazioni causato dai maggiori costi per materiali quali gli imballaggi, i container, i trasporti, la materia prima. Dunque, le nubi sono sparite, ma non siamo decollati».
Su questo incide molto la particolare dinamica dei prezzi del mercato italiano: il cliente italiano continua a non accettare, a non comprendere l’aumento del costo della tazzina che rimane molto al di sotto della media europea e, seppure molti locali abbiano effettuato un aumento di 10, 20 centesimi al massimo, questo non permette di rientrare dai maggiori costi. Da parte loro le torrefazioni hanno ritoccato i listini in percentuale minima e questo costringe a margini bassi che spingono a contrarre le spese, a cominciare dal personale. Una tendenza che prosegue anche a causa degli aumenti dei costi dell’energia dell’ultimo anno e a un sentiment degli operatori e degli acquirenti finali segnato da continui segnali di allarme legati ad aumenti dei prezzi, recessione, incertezza legata al futuro; il risultato è una minore propensione alla spesa che incide negativamente sul singolo esercente e sul torrefattore.
«Per quanto riguarda il futuro - riprende De Franco - a livello mondiale ci sono margini di crescita importanti di cui già stanno beneficiando soprattutto le grandi torrefazioni, mentre le medio-piccole che oggi per lo più non hanno più del 50% del fatturato, la situazione è più complessa. Per far fronte a ciò e anche all’aumento dei costi per materia e del personale, penso sia importante proseguire il cammino delle acquisizioni che ha preso il via da qualche anno, facendo massa critica tra più torrefazioni al fine di realizzare economie di scala. A chi ha scelto di diversificare - mi riferisco soprattutto alla fascia più colpita dal blocco legato al covid a causa di una distribuzione effettuate esclusivamente nel canale horeca - aprendosi al retail, consiglio infine di valutare a fondo questa scelta e di procedere con oculatezza: investire sullo scaffale della Gdo ha costi elevati, ai quali si devono accompagnare campagne pubblicitarie massicce: la concorrenza è numerosa e agguerrita e per fronteggiarla servono grossi investimenti».