Nel suo volume “Linee guida per una sana alimentazione italiana”, Inran, Istituto Nazionale di Ricerca per gli alimenti e la nutrizione, indica tra i fattori da considerare in fase di acquisto di un prodotto alimentare “in generale la pulizia e l’ordine del punto vendita, che possono indicate l’attenzione del venditore anche alla qualità del prodotto venduto”. Proseguendo si evidenzia come “un sapore rancido o un cattivo odore sono indici indiscussi di non salubrità dell’alimento”.
Cos’è il rancido Il vocabolario Treccani lo definisce “Di olio, di sostanze grasse che hanno subìto un processo di irrancidimento, acquistando quindi odore e sapore aspro e sgradevole”. Nell’inchiesta di Report di due settimane fa, dedicata alla qualità del caffè in Italia, nelle analisi gustative di Andrej Godina, caffesperto, specializzato e da sempre dedito all’analisi sensoriale del caffè, spesso è stato individuato il rancido. «Ciò che è gradito alla gente non è un difetto» ha replicato Raffaele Ferrieri, titolare del Vero Bar del Professore di Napoli, quando gli è stata evidenziata la presenza di questo sentore. Che, è bene ribadirlo, non fa parte del “corredo aromatico” di un caffè di qualità, definito da Godina «in grado di soddisfare i palati più esigenti nella misura in cui è privo di difetti ed è ricco di composti aromatici volatili piacevoli. Tra i difetti più importanti che si possono ritrovare in tazza ci sono gli aromi di legno, paglia, terra, muschio, muffa, marcio, medicinale, gomma bruciata e infine rancido. A questi si possono aggiungere un gusto amaro particolarmente intenso e la sensazione tattile di secchezza o astringenza al palato». Due semplici esempi per identificare il rancido: l’odore che si percepisce annusando una fetta di prosciutto crudo che è stata lasciata all’aria a una temperatura ambiente per un periodo lungo, finché il colore bianco del grasso diviene giallastro. Un altro esempio è l’olio di oliva lasciato in una bottiglia trasparente alla luce del sole, quando il liquido vira al colore arancio.
Attenzione al caffè Nel caffè verde è presente una componente naturale di grassi e oli vegetali che non si degradano in tostataura, ma fuoriescono sulla superficie dei chicchi rendendoli lucidi alla vista, soprattutto nel caso di tostature molto scure. «Questi - riprende Godina - a contatto con l’ossigeno e in presenza di luce innescano immediatamente reazioni ossidative che producono abbondanti composti chimici volatili dall’odore rancido, soprattutto se i chicchi sono conservati a temperature elevate». La causa principale di questo difetto è dunque l’utilizzo di tostato già rancido; per non incorrere in questo problema è importante confezionare e conservare il caffè in contenitori ermetici, in atmosfera senza ossigeno e a temperature basse.
Attenzione alle apparecchiature Sono poi da considerare con attenzione le macchine per la preparazione dell’espresso: nel loro passaggio nel macinacaffè dalla tramoggia alle macine, e nella macchina espresso, dal gruppo ai filtri e portafiltri, il caffè rilasciala la sua parte grassa sui materiali con cui entra in contatto: questi sedimenti oleosi irrancidiscono e rilasciano aromi sgradevoli alle successive erogazioni. “Già nell’arco di 24 ore si percepisce l’odore causato dall’irrancidimento - afferma Gianfranco Carubelli, Ceo responsabile qualità e sicurezza di pulyCaff -; inoltre, se non rimossa, la parte grassa carbonizza, si frantuma e va in tazza (si riconosce dai granuli scuri che rimangono sul fondo una volta bevuto l’espresso) conferendo un’amarezza intensa alla bevanda. L’acqua non rimuove il grasso: se piatti, bicchieri e tazzine si puliscono con detersivi adeguati, allo stesso modo non basta dare una sciacquata gruppi, filtri e tramogge: vanno trattati con prodotti appositi. E’ un’operazione da compiere tutti i giorni per la macchina espresso e ogni 2-3 giorni per il macinacaffè».
E, ricordano entrambi gli interlocutori, per non assuefarsi al rancido, una buona prassi da applicare anche a casa è quella di pulire la moka.