Non è certo uomo da mezze misure Francesco Sanapo: individuato un obiettivo, si attiva per perseguirlo e senza timore di mettersi in gioco. Così lo scorso gennaio nell’ambito di Sigep ha vinto il campionato italiano Cup Tasters, individuando (unico nella finale) 8 tazze “diverse” su 8 in 3’ 35” e 02 centesimi. Pochi mesi prima, in apertura del Milan Coffee Festival, aveva ricevuto l’European Coffee Award di Allegra per l’importante contributo dato all’industria del caffè in Italia e nel mondo. Un riconoscimento al ruolo di apripista di un nuovo modo di fare caffetteria, con i suoi due locali fiorentini Ditta Artigianale e l’omonima microtorrefazione, e al contributo alla conoscenza del caffè con il reality show Barista & Farmer. Per non parlare del lavoro svolto in Paesi produttori come Honduras, Costarica e Colombia, aiutando a dare visibilità ai coltivatori locali e ai loro prodotti. «Tengo questo premio nella mia bacheca - ci racconta Sanapo - insieme a quelli che hanno contraddistinto la mia carriera: i tre trofei delle vittorie al Campionato Italiano Baristi del 2010, 2011 e 2013, quello del sesto posto al Mondiale Baristi del 2013, il premio come coach di Charlotte Malaval, giunta sesta al Mondiale Baristi di Sca 2015 e la targa di Bargiornale». Oggi, il consulente, docente, QGrader, formatore Sca, titolare di locali e di una microroastery preferisce definirsi un barista o, meglio, un “coffee lover”. «D’altronde - aggiunge - il barista non può più essere chi schiaccia un bottone e serve una tazzina anonima, ma deve diventare l’esperto del caffè. Il mondo del bar italiano ha bisogno di crescere, di voltare pagina e voglio dare il mio contributo affinché ciò avvenga». Una bella “spallata” all’ancien regime, Sanapo l’ha data nel 2014 con l’apertura di Ditta Artigianale a Firenze, la prima caffetteria specialty in Italia, dove l’espresso realizzato con la miscela di base Jump, blend di caffè Arabica di altissima qualità, viene proposto a 1 euro e 50 centesimi.
Guardando allo scenario italiano, qual è il bilancio di questi ultimi anni?
Non vorrei sembrare troppo critico, ma sento che con Ditta Artigianale abbiamo smosso solo l’uno per cento delle coscienze e del mercato. Sicuramente abbiamo contribuito a creare del rumore, ma nella realtà servire un caffè specialty che ha un costo maggiore è visto oggi ancora quasi come un’eresia. Nel corso di questi ultimi anni Ditta Artigianale non ha, tuttavia, mai indietreggiato ma ha sviluppato uno spirito italiano, senza imitare nessuna moda. Non voglio rinnegare ciò che hanno fatto geni del passato, come Ernesto Illy e Giuseppe Lavazza, ma credo che sia arrivato il momento di rimodellare l’offerta del caffè italiano con una filosofia specialty. Per me l’espresso deve essere bilanciato; poi si possono aggiungere altre note per creare un gusto diverso, ma alla base ci devono essere dei caffè di alta qualità tostati in modo da dare il giusto bilanciamento in tazza tra dolce, amaro e acido. Quello che oggi conosciamo, un caffè per lo più bruciato, non è il vero espresso.
Come la mettiamo allora con il fatto che gli specialty sono per lo più caffè con una spiccata acidità?
Oggi, l’evoluzione sta nel comprendere che questa nuova tendenza specialty deve essere inglobata all’interno di uno spirito nostro, tutto italiano. Sono italiano e voglio impegnarmi per portare il nostro espresso al punto più alto, a una nuova gloria. L’acidità spinta è d’altronde una nota classica del caffè filtro e, dunque, può benissimo combinarsi anche con l’espresso.
La miscela Mamma Mia che avete sviluppato nei laboratori di Ditta Artigianale rispecchia questa idea di espresso?
È il frutto di un processo di ricerca che sto conducendo da tempo: sono sulla buona strada, ma il cammino non è terminato. Il cliente lo apprezza, ma bisogna considerare che parliamo di un espresso lontano dal gusto classico. Qui entra in gioco la capacità del barista di comprendere il proprio interlocutore e di guidarlo alla comprensione di ciò che gli viene offerto.
Visiti molte caffetterie; quali sono gli errori più frequenti che riscontri?
Spesso trovo la tendenza a scimmiottare mode che provengono da altri Paesi, perdendo di vista il nostro spirito e la nostra specializzazione. Chi è al banco bar non deve obbligare le persone a seguire le sue indicazioni, ma aprirsi al dialogo, comprendere, divulgare, non insegnare. Il percorso verso lo specialty deve essere senza imposizioni, come spesso avviene con lo zucchero: invitiamo il cliente a bere un sorso di caffè così com’è e poi lasciamogli la libertà di decidere come continuare. Non bisogna aggredire, ma conquistare e soprattutto confrontarsi per comprendere le esigenze del consumatore e tararsi su di lui, senza cedere alla tentazione di essere estremisti.
Quali sono i tuoi obiettivi per il futuro?
Aumentare il prezzo della tazzina (Starbucks con l’euro e ottanta a Milano ci dice chiaramente che si può fare), dare alla miscela italiana la grandezza che aveva un tempo e offrire alle nuove generazioni un buon motivo per bere del caffè di qualità. A chi lo considera un prodotto “vecchio”, voglio offrire un caffè più cool e trendy.