La ricetta perfetta, probabilmente, non esiste. Ma per ottenere un buon risultato, alcuni ingredienti sono imprescindibili: fiducia, affiatamento, condivisione, unità d’intenti, alchimia. Ma anche il sempreverde “patti chiari, amicizia lunga”, a sancire che ognuno deve fare la propria parte, imprenditore e/o bar manager da una parte e dipendente dall’altra, con responsabilità e onestà da entrambe le parti.
È il condensato delle riflessioni emerse dall’incontro andato in scena a Mixology Experience sul tema “Costruiamo insieme la ricetta perfetta: come creare una sintonia proficua tra imprenditore, bar manager e bartender”, che ha avuto come protagonisti un gruppo di Senatori del Drink Team.
In questo condensato trovate le loro testimonianze, nell'articolo completo (potete scaricarlo qui) anche quelle di un gruppo di esperti che abbiamo coinvolto successivamente per arricchire le considerazioni su un tema che sta a cuore a tutti e che, di questi tempi, toglie non pochi sonni a chi è all’affannosa ricerca di persone valide per integrare staff spesso lontani dall’ottimale sia in termini numerici che di qualità delle risorse.
Prima la persona, poi il professionista
Il primo elemento che è emerso è come sia cambiata la ricerca del collaboratore giusto: perché si cerca la persona, più che il professionista. Le parole chiave qui sono «Attitudine, predisposizione, passione e dedizione» come afferma Renato Pinfildi, contitolare e bar manager del Café du monde di Caserta.
«Cerco l’occhio che brilla» riassume efficacemente con un’immagine Terry Monroe, titolare di Opera 33 a Milano.
Dopodiché la professionalità la si costruisce, con tempo, pazienza, formazione, trasmissione di saperi. Tanto più se ci si trova in un team collaborativo, guidato da un vero leader desideroso e capace di trasmettere i propri saperi e la propria esperienza.
Ovviamente, le basi giuste per creare una relazione proficua le deve mettere l’imprenditore o il bar manager: «Bisogna prima di tutto trasmettere l’anima del locale - sostiene Mattia Corunto, che oggi si dedica alla consulenza -, far capire il progetto e il percorso che si vuole tracciare insieme. Le persone devono sentirsi parte di una famiglia e avere la tranquillità economica e psicologia sufficiente per fare i propri passi nella vita. Difficilmente una persona va via da un posto dove si trova bene».
Regole chiare, ruoli chiari
Gian Maria Ciardulli, bar manager del Donna di cuori di Cecina (Li), sottolinea l’importanza della correttezza: «Troppo spesso, a maggior ragione nelle attività stagionali, i ragazzi lamentano rapporti poco chiari o poco onesti: turni di lavoro che arrivano a essere fino al doppio delle ore pattuite, pagamenti in nero, inquadramenti a livelli più bassi del dovuto. Molti sono sottopagati: ed è la ragione principale per cui cambiano. Dopodiché, spetta all’imprenditore trasmettere stimoli umani e professionali adeguati alle persone che lavorano per e con lui».
«È fondamentale avere ruoli precisi e regole precise - afferma Federica Geirola, bar manager del Rooftop Jim’s Bar a Roma -, anche per evitare che si sfrutti il personale esistente quando è l’organico è sottostaffato».
Trasmissione di saperi, formazione, motivazione e guida sono i compiti che un imprenditore dovrebbe assumere nei confronti dei propri collaboratori. Insieme alla responsabilità di costruire «un ambiente di lavoro il più possibile sereno - afferma Vanessa Vialardi, titolare del D.One di Torino -, considerando che i colleghi di lavoro sono probabilmente le persone con cui passiamo il maggior numero di ore della nostra giornata». Al D.One questo si traduce in un ambiente «informale, dinamico, adulto, fondato sulla responsabilità e sulla condivisione, dove le persone conoscono il proprio ruolo e hanno l’intelligenza di comprenderne diritti e doveri connessi».
L'importanza della reciprocità
Cinzia Ferro, titolare dell’Estremadura Cafè di Verbania, pone l’accento sulla reciprocità su cui si deve fondare una sana relazione di lavoro: «Il mio compito, da imprenditore, è mettere a disposizione le mie competenze e dare a chi lavora con me gli strumenti, il tempo e le opportunità per costruirsi la propria professionalità. Do molto, ma pretendo anche che le occasioni fornite si traducano in contributi di valore: ognuno deve portare la propria visione e mettere la sua fantasia, la sua creatività le sue qualità al servizio della squadra». Della serie: io ti do gli strumenti che ti servono, ma spetta a te utilizzarli al meglio. E qui tornano i temi dell’“adultità” e della responsabilità già sottolineati prima.
Un messaggio che Andrea Simeoni, componente del Drink Team uscente e membro dello staff di Cinzia Ferro, ha dimostrato di aver fatto suo: «Per chi è all’inizio, avere qualcuno che ti fa vedere una strada, un percorso è fondamentale. Così come serve per crescere qualcuno che continui a sottolineare il perché delle cose. Dopodiché spetta al singolo metterci l’impegno e la dedizione per studiare, approfondire, imparare e far proprie le cose. Solo così si riesce a dare anche il proprio contributo. La capacità di curare i dettagli è quello che fa la differenza, ma occorre tempo per acquisirla».
L'imprenditore come guida
Pazienza e tempo, insieme all’ascolto, sono gli ingredienti chiave - per Samatha Migani, anima dell’Hawaiki di Bellaria Igea Marina (Rn) - per creare «l’alchimia e l’armonia che ci permettono di portare il cliente nel nostro viaggio nel mondo tiki». Lei si ritaglia il ruolo di «capitana della nave, coach, motivatrice, guida spirituale» della “ciurma”, per permetter loro di «dare il massimo, di andare oltre, di imparare a viaggiare con le loro gambe».
Sulla stessa lunghezza d’onda Joy Napolitano, titolare del The Barber Shop di Roma, che interpreta il suo ruolo come quello di un capitano (nel suo caso di una squadra di calcio: non per niente ha chiamato il suo cane Rudi Völler, indimenticato centravanti della Roma): «Cerco di trasmettere la mia esperienza ai ragazzi: non insegno a fare i drink, ma passo loro quello che imparato di questo lavoro in anni dietro al bancone».
L'attenzione al clima (l'altra faccia della sostenibilità)
Uno degli aspetti che è tornato fuori più volte nel corso della chiacchierata è l’impegno di tutti nel pensare, progettare o improvvisare esperienze condivise che coinvolgono tutti i componenti del team, sia lavorative che extra lavorative. L’obiettivo? Conoscersi («come persone, oltre che come colleghi» hanno detto in molti) e creare affiatamento.
Masterclass, visite a produttori, partecipazioni di gruppo a fiere sono le attività lavorative messe in pista un po’ da tutti, insieme alle serate in cui «si va tutti insieme a bere da qualche collega» che rappresentano un perfetto anello di congiunzione tra il dovere e il piacere.
E poi spazio alle attività che in gergo tecnico si chiamano team building ma che a sentirle raccontare è meglio tradurre con un «facciamo qualcosa di divertente e di piacevole tutti insieme». Qui ognuno si sbizzarrisce a suo modo, dando prova di saper applicare la creatività ben oltre il bicchiere: dai tornei di ping-pong alle grigliate, dalla giornata a Gardaland alla domenica allo stadio tutti insieme.
L'equilibrio vita privata-lavoro, il nuovo mantra
Sullo sfondo della discussione, ha aleggiato un fantasma che si aggira per i bar di tutta la Penisola: il cosiddetto Talent Shortage, un modo elegante per dire che non si trova personale, tanto meno capace.
Una questione che va ben oltre il nostro (piccolo) mondo: « Negli ultimi anni, in Italia così come nel resto del mondo, è cambiato in modo sostanziale ciò che le persone cercano dal lavoro, non solo nell’horeca ma in tutti i settori - spiega Ilaria D’Aquila, People & Culture Director di ManpowerGroup Italia, uno dei colossi mondiali nel campo delle risorse umane -. Dal nostro studio “The New Human Age” emerge che il 30% delle persone desidera un maggiore equilibrio tra vita e lavoro, il 19% più sicurezza occupazionale e l’11% vuole un lavoro in linea con le proprie passioni. Le persone, dunque, sono alla ricerca di datori di lavoro che riconoscano l’importanza di un work/life balance più sano, e che li aiutino a raggiungerlo. Si tratta di una tendenza che va al di là dell’età e del genere, sicuramente accelerata dalla pandemia, ma che era già in atto da tempo. Anche i più giovani rientrano all’interno di questa tendenza, con una particolare attenzione all’impegno che le aziende profondono sui temi legati alla sostenibilità e all’inclusione, che risultano elementi decisivi nella scelta del posto in cui lavorare».
Una sfida non facile per un mondo, quello del bar, dove l’impegno e la dedizione sono parte integrante – insieme alla passione – del lavoro: «La questione in effetti è complessa – afferma D’Aquila - ma è importante ascoltare le esigenze di chi lavora. Una giusta distribuzione degli orari, un buon equilibrio tra lavoro e riposo, il riconoscimento dell’impegno e della crescita diventano elementi essenziali per attrarre e trattenere le persone. In particolare, per la Generazione Z, che entro il 2025 costituirà il 27% della forza lavoro globale, è importante essere in grado di risultare attraenti e interessanti. Si tratta di una generazione che ha aspettative sempre più alte, sia per quanto riguarda aspetti come flessibilità e attenzione alla crescita e al benessere del dipendente, sia su temi come Diversity, Equity, Inclusione Belonging (Deib) e Climate Change».
La ricetta perfetta, quindi, va costruita insieme: «Credo che stabilire un dialogo tra le imprese e le persone che le compongono – conclude l’esperta - sia il tema cruciale per cercare di andare incontro alle nuove esigenze: la formazione, l’attenzione al benessere e alla salute, la condivisione di valori, un clima sano saranno gli elementi chiave su cui costruire una relazione proficua».