Nell’Italia delle contraddizioni non manca quella, di stretto interesse anche per i gestori di bar, sul modo con cui gli avventori possono pagare il conto, che sia un semplice caffè consumato al banco, un pasto in pausa pranzo o un cocktail dopo cena. Il nostro è un Paese in cui il 78% di tutti gli acquisti al minuto è pagato in contanti e, in questa graduatoria, è il terzo in Europa dopo Grecia e Romania. L’orientamento dell’Unione Europea è però di spingere il pagamento elettronico, che contrasterebbe l’evasione fiscale e il riciclaggio di denaro sporco: un metodo assai diffuso nei Paesi del Nord. Non c’è quindi da stupirsi se, sulla spinta di Bruxelles, anche da noi siano state pensate norme per ridurre la circolazione di contanti e per semplificare i pagamenti. Ma si è fatta anche molta confusione, per cui l’esercente spesso si trova a non sapere che pesci pigliare.
Stop alle monetine
Prendiamo ad esempio il provvedimento, introdotto con la cosiddetta Manovrina del 2017, che sospende il conio delle monetine da 1 e 2 centesimi, pensato per ridurre i costi sostenuti dall’Istituto Poligrafico dello Stato e per razionalizzare i prezzi, arrotondandoli ai multipli di 5 centesimi. Si è discusso molto, sui quotidiani, se l’Italia potesse decidere in autonomia di non produrre alcuni tagli di una moneta europea. La misura è poi entrata effettivamente in vigore ma, secondo le associazioni degli esercenti, senza alcuna ricaduta pratica per i bar. Il parere di Fipe è che «L’aggiustamento dei prezzi a 5 o 10 centesimi è avvenuto da tempo negli esercizi e, quindi, non si pone il problema di un aumento di prezzi determinato dalla norma». Sulla stessa linea Confcommercio, che ha diramato circolari territoriali per indicare in quale modo definire gli eventuali arrotondamenti di prezzo ma, soprattutto, per spiegare come Banca d’Italia, con una nota, preveda qualche possibile difficoltà, nei mesi di aprile e maggio, a rifornire banche e poste di monetine, che ovviamente non escono dalla circolazione e sono sempre valide. L’invito è pertanto, anche ai gestori di bar, di favorire il ricircolo dei pezzi da 1 e 2 centesimi, continuando a usarli per i resti.
Bancomat e contanti
Un altro tema riguarda l’utilizzo del bancomat. Secondo la legge gli esercenti, anche i baristi, devono sempre consentire all’avventore di usarlo, se lo richiede. La norma è in vigore dal 2014 e inizialmente fissava l’obbligo per i pagamenti sopra i 30 euro. Limite però rimosso successivamente, per cui chiunque oggi potrebbe pagare anche solo un espresso con bancomat o carta di credito. Il fatto è che non sono comunque previste sanzioni per l’esercente che si rifiutasse o sostenesse di non avere un apparecchio Pos. Lo scorso ottobre era stata ventilata, durante la discussione sulla manovra finanziaria 2018, l’introduzione di una multa da 30 euro comminabile a chi non accettasse pagamenti con il Pos e molti quotidiani avevano dato il provvedimento per acquisito. Ma in realtà poi ciò non è avvenuto, quindi di fatto i gestori potrebbero anche decidere di non installare il terminale di pagamento senza rischiare nulla in concreto.
Nuove tecnologie
Una scelta, però, che potrebbe risultare anacronistica, perché la diffusione della moneta elettronica sembra ormai una marea inarrestabile anche in Italia, spinta dalla diffusione di nuove tecnologie che stanno entrando nella nostra vita quotidiana e che stanno sempre di più convincendo il pubblico della loro efficacia e sicurezza. Del tema si è parlato lo scorso marzo a Milano, in occasione di un convegno organizzato dall’Osservatorio Mobile Payment & Commerce, una struttura del Politecnico di Milano che ha proprio l’obiettivo di monitorare la diffusione dei sistemi di pagamento elettronici nel nostro Paese. «In Italia - ha spiegato Valeria Portale dell’Osservatorio - abbiamo assistito nel 2017 a una crescita dell’11% dei pagamenti digitali, per un valore di oltre 220 miliardi di transato attraverso le carte di debito (bancomat) o di credito. Lo scontrino medio al momento è di circa 60 euro per acquisto, ma sta progressivamente scendendo. Andando a vedere nel dettaglio in che cosa consistono i pagamenti digitali ci accorgiamo che, al di là di quelli con le carte, sono i cosiddetti “new digital payment” a crescere e, in particolare, l’impiego di carte contactless e l’utilizzo degli smartphone per pagamenti su terminale Pos o anche verso un altro smartphone».
Da carta a smartphone
Questa tecnologia, in particolare, va seguita molto da vicino, perché consente di effettuare in modo praticamente immediato pagamenti anche di pochi euro con una facilità irrisoria. L’esempio più emblematico è probabilmente Jiffy, un servizio, ormai garantito da 130 banche italiane, che si effettua tramite una app scaricabile su smartphone. È sviluppato e gestito da Sia, gruppo europeo attivo nel settore dei servizi tecnologici per i pagamenti, che, dopo una fase di test iniziata lo scorso anno, ne ha allargato l’utilizzo anche per i pagamenti nei negozi. «Sono oltre 800 gli esercizi in Italia già attrezzati - dice Marco Polissi, responsabile Jiffy di Sia - i pagamenti si possono incassare via smartphone o tablet di ogni produttore o su Pos Android. Il vantaggio è che è un sistema interoperabile, cioè funziona tra conti di banche diverse, senza alcuna barriera di ingresso. A seconda dell’istituto di credito che propone il servizio ai suoi correntisti l’utilizzo può essere gratuito oppure soggetto a una commissione».
Jiffy si inserisce in un’evoluzione normativa e tecnologica che punta a rendere immediati i trasferimenti diretti di denaro da conto a conto. Il 21 novembre scorso, infatti, ha preso ufficialmente il via il sistema Sct Inst Scheme, che coinvolge 34 Paesi e che introduce il bonifico istantaneo, cioè trasferimenti di denaro che si completano nell’arco di 10 secondi, e non di giorni com’era la prassi finora. «Questa innovazione spingerà sempre di più - osserva Polissi - all’utilizzo degli smartphone come strumenti di pagamento immediato».
Esperienza di pagamento
Certamente ci sono ancora diversi freni, in Italia, allo sviluppo dei pagamenti elettronici, prima di tutto le alte commissioni richieste per l’utilizzo dei Pos e le politiche delle banche che non si armonizzano tra loro. Ma, come evidenzia il rapporto dell’Osservatorio Mobile Payment, sono ormai 90mila i terminali per i pagamenti Pos in Italia, e il 60% è attrezzato per il contactless.
«L’obiettivo - osserva Paolo Bortoluzzo, ad di Nexi (ex Cartasì) - è investire per trovare soluzioni meno gravose per gli esercenti e accelerare con lo sviluppo e la distribuzione di “smart Pos” in grado di rendere l’esperienza di pagamento semplice e piacevole per l’avventore e per il negoziate (barista compreso). Solo così otterremo il risultato di diffondere sempre di più in Italia l’uso di denaro elettronico». La razionalizzazione dei sistemi è d’obbligo: oggi considerandoli tutti, dalle carte contactless alle varie app per smartphone, sono troppi e rendono impossibile per il gestore un loro uso diffuso, perché richiederebbero una formazione e un aggiornamento che soltanto grandi catene con migliaia di addetti alle casse possono permettersi. Insomma, la diffusione capillare del denaro elettronico in Italia si giocherà tutta qui: se si riuscirà a semplificare e a fare in modo che tutti gli utenti possano imparare a utilizzarli facilmente e senza rimetterci in commissioni avrà successo, altrimenti no. In Svezia, dove operano solo una trentina di istituti di credito, è stato raggiunto un accordo e creata una piattaforma condivisa, per cui oggi l’80% dei cittadini paga solo con denaro elettronico. Vedremo se l’Italia saprà fare altrettanto o se prevarrà l’individualismo.