Un giro d’affari di 3 miliardi di euro, equivalente allo 0,72% del Pil (prodotto interno lordo) italiano, e circa 190.000 posti di lavoro creati, tra diretti e indiretti. Bastano questi primi numeri a rendere l’idea del peso del mercato dei buoni pasto per il sistema Italia e, in particolare, per il mondo del fuori casa, dal momento che le realtà di tale comparto rappresentano la scelta primaria da parte dei lavoratori per l’utilizzo dei ticket. Un mercato che diventa sempre più solido, come certificano i dati presentati nel corso di una tavola rotonda sul tema organizzata a Milano da Anseb, l’Associazione nazionale società emettitrici buoni pasto che rappresenta circa il 80% di tutto il mercato italiano. Ricerca elaborata per l’associazione da Luca Beltrametti, economista dell’Università di Genova, sulla base delle rilevazioni Istat.
Oggi i buoni pasto sono utilizzati da circa il 40% dei lavoratori che pranza fuori casa. A optare per questo strumento, la cui gestione è più semplice ed economica rispetto a quella di una mensa aziendale, soprattutto per le pmi, sono infatti oltre 90mila realtà, tra aziende private, organizzazioni e pubbliche amministrazioni, che li acquistano per i loro dipendenti o collaboratori. A usufruirne una platea in crescita, che ha raggiunto il 19% dei potenziali beneficiari, pari a 2,4 milioni di persone, delle quali circa 1,6 milioni impiegate nel settore privato e 900.000 nel comparto pubblico. Così come in crescita è il numero degli esercizi convenzionati, che ha superato quota 150.000. Tra questi a fare la parte del leone sono bar, ristoranti e gastronomie che totalizzano ben il 70% del totale del consumo dei ticket, mentre la quota restante va al circuito della gdo. Oltre che per i lavoratori, dunque, il buono pasto si conferma uno strumento importante per il rilancio dei consumi del momento pranzo nei locali, contribuendo, secondo le stime di Anseb, a circa il 40% degli introiti.
Un mercato che diventa più moderno, grazie alla digitalizzazione, ovvero alla diffusione del buono elettronico. Processo che ha portato benefici sotto diversi aspetti. Innanzitutto, il più elevato livello di defiscalizzazione del quale gode questa tipologia di ticket, 7 euro a fronte dei 5,29 del ticket cartaceo, ha stimolato le aziende a corrispondere ai loro lavoratori buoni con un più alto valore. Ciò si è tradotto per gli utilizzatori in una maggiore disponibilità di spesa, 1,71 euro in più a pasto, cifra che su base annuale equivale a circa 380/400 euro all’anno. A questo si aggiungono gli altri vantaggi legati allo strumento elettronico, come una diminuzione delle possibilità di falsificazione e di altri abusi. In particolare, per gli esercenti il buono digitale ha portato a una velocizzazione dei tempi di pagamento e a uno snellimento delle pratiche burocratiche, grazie alla facilità e velocità di validazione che rende il processo di rendicontazione e fatturazione più rapido rispetto a quello dei cartacei, sebbene anche questo strumento non sia del tutto privo di criticità (vedi box). La numerica dei ticket in formato elettronico si è quasi raddoppiata negli ultimi 2-3 anni, totalizzando attualmente il 40% del mercato, così come si è moltiplicato il numero di Pos attivi negli esercizi, che hanno raggiunto quota 75.000.
In Europa
In un mercato che cresce c’è però un elemento, non secondario, che è rimasto indietro: il valore del buono. In Italia in media si aggira sui 6,20 euro, ancora inferiore rispetto a quelli degli altri principali partner europei, considerando che in Spagna e Francia siamo sui 9 euro, tra i 6 e i 9 in Germania, 8 euro in Belgio e 6,80 euro in Portogallo.
Valore che in molti casi non è sufficiente a coprire le reali necessità. Problema che al momento il legislatore ha affrontato consentendo, con la modifica alla normativa entrata in vigore a settembre dello scorso anno, l’uso cumulativo dei ticket fino a un massimo di 8. Il numero medio di buoni utilizzati contemporaneamente è di 3.