Penalmente responsabile il gestore che fa vedere una partita di calcio ai propri clienti utilizzando un decoder e/o un abbonamento destinato all’impiego domestico. La condotta, secondo la Suprema Corte, viola la legge sul diritto d’autore
Per le norme sul diritto d’autore non c’è distinzione tra uso e diffusione. Così la terza sezione penale della Corte di Cassazione, con sentenza 20876 del 30 maggio scorso, ha confermato la condanna di un gestore reo di aver usato in pubblico decoder e smart card destinati all’impiego domestico: l’uomo era stato accusato di averli usati per far vedere una partita di calcio all’interno del suo esercizio.
Secondo il pubblico ministero, l’evento trasmesso su un’emittente ad accesso a pagamento non poteva essere fruito liberamente dai clienti del pubblico esercizio. Il tribunale ha degradato però il comportamento a mero illecito civilistico e assolto il gestore, condannato invece in secondo grado per violazione dell’articolo 171-ter, comma 1, lett. e della legge 633/41 sul diritto d’autore. La palla è passata allora alla Corte di Cassazione.
Il gestore ha infatti fatto ricorso sostenendo che il titolare di una smart card, autorizzato alla decodifica presso la sua abitazione, facendo uso del sistema anche all’esterno si limiterebbe solo a «utilizzare», senza prevedere la «diffusione» vietata dalla legge.
In sostanza, lui avrebbe «semplicemente compiuto una “ricezione/trasmissione” del servizio criptato, non consentita dal contratto di distribuzione ma non per questo anche penalmente rilevante.
Diffusione vietata
Per la Suprema Corte questa spiegazione presuppone che vi sia una chiara distinzione tra “utilizzazione” e “diffusione”, cosa che in realtà non è prevista dalla norma. L’articolo della legge sul diritto d’autore punisce chi «in assenza di accordo con il legittimo distributore, ritrasmette o diffonde con qualsiasi mezzo un servizio criptato ricevuto per mezzo di apparati o parti di apparati atti alla decodificazione di trasmissioni ad accesso condizionato». Non dispone una disciplina separata per l’uso non consentito del dispositivo e l’illegittima trasmissione del programma. L’intento della legge, spiega la Corte di Cassazione, è di «tutelare l’impresa erogatrice del servizio televisivo contro qualsiasi condotta abusiva».
Ecco dunque che il gestore, pur avendo per contratto acquistato la visione della partita di calcio, avrebbe potuto diffonderla in pubblico (e nel suo locale) «solo se a tanto esplicitamente autorizzato», dicono i giudici.
I fini di lucro non ci sarebbero stati solo se, per esempio, si fosse limitato a utilizzare il decoder per diffondere l’evento sportivo solo «nell’ambito della famiglia».