La conferenza stampa di Giuseppe Conte, svolta ieri 26 aprile, ha segnato un piccolo passo nel graduale ritorno alla normalità. Anticipando i contenuti del nuovo Decreto della presidenza del Consiglio dei ministri, il Dpcm del 26 aprile 2020 (trovate il testo da scaricare in fondo all’articolo), il premier ha annunciato che dal 4 maggio le saracinesche di bar, pub, ristoranti, gelaterie e pasticcerie si rialzeranno e i clienti potranno tornare a mettere piede nei locali, ma solo per ritirare il pasto ordinato (art. 1 comma aa). Quindi solo possibilità di take away, possibilità che già alcune regioni avevano concesso a partire dal 24 aprile, che si aggiunge alla possibilità del delivery già praticata dai locali di ogni categoria.
La data della riapertura vera e propria, con le modalità che verranno indicate, non sarà il 18 maggio come sperato, ma l’1 giugno.
Via libera all'asporto
La vendita per asporto dovrà comunque seguire regole precise che potranno essere modificate in senso restrittivo nelle singole regioni.
La scena all’esterno dei locali dovrà essere simile a quelle che si vedono davanti ai supermercati: niente assembramenti ma file ordinate di persone con la mascherina e nel rispetto della distanza sociale. Resta il divieto di consumare il cibo ordinato all'interno dei locali e di sostare nelle loro immediate vicinanze. In attesa che vengano specificate le misure che regoleranno il servizio vi rimandiamo a quanto già previsto dalle regioni che nei giorni scorsi hanno già permesso le vendite take away.
Rimanendo l’obbligo dell’autocertificazione sorge il dubbio su come il cliente dovrà giustificare la sua uscita per recarsi in un locale: potrà genericamente indicare che sta andando a fare la “spesa” o dichiarare che va a ritirare il suo pasto da asporto? Un chiarimento sarebbe utile.
Fipe: «Così il settore rischia il fallimento»
Un altro mese d’attesa dunque per la piena ripresa delle attività dei locali. Una decisione che non ha lasciato soddisfatta la Fipe, Federazione italiana pubblici esercizi, che in una nota ha espresso il disappunto per la scelta, denunciando anche i ritardi nell’adozione delle misure a sostegno del settore.
«I nostri dipendenti stanno ancora aspettando la cassa integrazione, il decreto liquidità stenta a decollare, oggi apprendiamo che potremo riaprire dal primo di giugno – si legge nella nota -. Significano altri 9 miliardi di danni che portano le perdite stimate 34 miliardi in totale dall’inizio della crisi».
«Forse non è chiaro che si sta condannando il settore della ristorazione e dell’intrattenimento alla chiusura. Moriranno oltre 50.000 imprese e 350.000 persone perderanno il loro posto di lavoro - prosegue la nota -. Bar, ristoranti, pizzerie, catering, intrattenimento, per il quale non esiste neanche una data ipotizzata, stabilimenti balneari sono allo stremo e non saranno in grado di non lavorare per più di un mese. Accontentati tutti coloro, che sostenevano di non riaprire, senza per altro avere alcuna certezza di sostegni economici dal Governo».
Nota che si chiude con un accorato appello a far presto, perché senza un sostegno immediato e concreto il comparto rischia il tracollo. «Servono risorse e servono subito a fondo perduto, senza ulteriori lungaggini o tentennamenti, sappiamo solo quanto dovremo stare ancora chiusi, nulla si sa quando le misure di sostegno verranno messe in atto. Tutto questo a dispetto sia del buon senso che della classificazione di rischio appena effettuata dall’Inail che indica i Pubblici Esercizi come attività a basso rischio. Questo nonostante la categoria abbia messo a punto protocolli specifici per riaprire in sicurezza».