Il mondo della ristorazione è a corto di personale. Mancano all’appello circa 150 mila lavoratori. I quotidiani ne hanno parlato a lungo in queste ultime settimane e gli opinionisti di tutti fronti si sono spesi in discussioni infinite su cause e possibili soluzioni. Di questi 150 mila, la Fipe stima che 120 mila siano professionisti a tempo indeterminato che quest'anno, a causa degli impedimenti imposti alle attività durante i diversi lockdown, hanno preferito cambiare lavoro e interrompere i loro contratti. A questi si aggiungono circa altri 20mila lavoratori che lo scorso anno lavoravano a tempo determinato e che oggi, anche alla luce dell’incertezza sul futuro, potrebbero preferire strumenti di sostegno al reddito, invece di un vero impiego. Quello che però parrebbe, almeno dai titoli di alcuni giornali, un problema solo italiano e che riguarda esclusivamente figure professionali come bartender, cuochi o camerieri è in realtà un fenomeno che va ben oltre i confini nazionali e che impatta anche su settori che con l'ospitalità o il turismo non hanno nulla che fare. Come la nostra sanità, ad esempio, in cronica difficoltà proprio per una carenza di medici e di personale infermieristico. Un gap che si riesce a colmare solo in parte con l'assunzione di professionisti dall'estero. Per non parlare, di altri settori strategici dove il personale non si trova: uno su tutti, quello degli operatori penitenziari.
Nel Regno Unito, mancano all'appello 190 mila lavoratori dell'ospitalità
Ma se andiamo a guardare solo un attimo fuori dai nostri confini, scopriamo che davvero "tutto il mondo è paese". Nel Regno Unito, ad esempio, considerato fino a ieri un approdo sicuro dove molti professionisti andavano fino a ieri a fare gavetta e carriera, lamenta una forte carenza di personale in tutti i settori dell'ospitalità. Sono circa 190 mila lavoratori che mancano all'appello, di cui 73 mila nelle imprese di pub, café, ristoranti e bar. Si calcola che circa il 50% degli addetti dell'ospitalità, dopo la fine della pandemia, non siano ritornati ai loro vecchi lavori e abbiano trovato alternative professionali più interessanti e soprattutto meno impegnative sul piano personale con orari fissi e weekend liberi. In più, c'è da calcolare l'impatto della Brexit, si stima che 1,3 milioni di lavoratori stranieri abbiano lasciato il Regno Unito durante i diversi lockdown. Per non parlare, infine, dei dipendenti che sono ancora in congedo lavorativo (il cosiddetto furlough, status simile alla nostra casa integrazione che dovrebbe terminare il prossimo settembre) e che si teme non vogliano più rientrare in servizio. Questo deficit occupazionale - di calcola che l'85% dei locali del regno sia alla ricerca di personale cucina e l'80% di personale di sala - sta intanto avendo un impatto a dir poco devastante sugli staff attualmente impegnati a lavorare nei pub e nei ristoranti ritornati a macinare clienti e fatturati dopo la quasi completa abolizione delle restrizioni Covid - 19 decisa da Boris Johnson. Molti di loro, obbligati a turni massacranti con zero riposi proprio per la scarsità di rincalzi o sostituti, sono sull'orlo di una crisi di nervi, come ha recentemente documentato un'inchiesta giornalistica dello scozzese The Independent. Resta da capire come uscire da una sorta di cul de sac che sta mettendo in crisi anche altri settori economici strategici dell'economia britannica come quelli, ad esempio, dei trasporto su gomma e dell'edilizia. Non è solo un problema di stipendi bassi, mettono in guardia alcuni esperti, ma si tratta di offrire una rete di tutele e di garanzie che possono rendere il settore dell'ospitalità più attrattivo e interessante, soprattutto per le nuove generazioni. Ad esempio, coperture sanitarie e assicurative in grado di garantire maggiore serenità al lavoratore o percorsi di formazione e di carriera e di crescita ben definiti. In altre parole trasformare il posto di lavoro in un ecosistema che oltre a offrire una paga competitiva consenta al lavoratore di sviluppare i propri talenti e aggiornarsi a livello professionale. Per ora, però, si naviga a vista nella speranza, forse vana, che tutto ritorni come prima.