Quando si chiede al titolare di un bar un commento sui propri collaboratori (ma la stessa cosa vale per buona parte degli imprenditori), la prima reazione spesso è uno sbuffo, un alzare gli occhi al cielo o simili segnali di sofferenza (o insofferenza...). Della serie: “Potessi farne a meno...”. Peccato che non è possibile. E che, invece, sono proprio i collaboratori la chiave per fare di una attività un’attività di successo.
E allora, che si fa? Maurizio Papa, di professione business coach, ha ideato il metodo “Time to lead” per affiancare gli imprenditori nel percorso che li porta a trasformare la relazione con le persone che lavorano per loro da insoddisfacente o conflittuale a funzionale e proficua. Non per bontà d’animo, ma per far sì che l’attività funzioni, funzioni meglio, funzioni con più soddisfazione (gestire un bar non può essere vissuto come una condanna...).
Dal fare al gestire
«Spesso i titolari dei bar si concentrano sulle cose da fare anziché sulla gestione del locale - afferma Papa -. Il risultato è che finiscono per essere in balia degli eventi, affaticati, con poco tempo a disposizione, concentrati sulle piccole necessità di scarsa importanza e privi delle energie necessarie per concentrarsi sullo sviluppo della propria attività».
Quanto alla gestione dei collaboratori: «Se nella mente del titolare il collaboratore non può essere una persona capace, autonoma, dotata di una propria personalità, nella realtà non potrà accadere niente di diverso - spiega Papa -. Il dipendente, alla fine, è il risultato della mentalità del titolare. Se voglio che un dipendente sia la mia fotocopia, difficilmente potrà dare del valore aggiunto al titolare e alla sua attività».
La trappola del cercare il colpevole
Una delle situazioni in cui Papa si imbatte più frequentemente è quella in cui, quando le cose cominciano a non funzionare, si comincia a cercare “di chi è la colpa” o si attribuiscono i cattivi risultati a qualcosa di esterno: la crisi, la politica, la sfortuna, quando non addirittura i clienti.
Per uscire da questa trappola autocostruita, il business coach suggerisce di cominciare a chiedersi che tipo di locale si vuole: «Occorre spostare l’attenzione dai gesti tecnici, da “come faccio il caffè”, a “che tipo di locale voglio che il mio bar sia”. O, ancor meglio, cominciare a chiedersi qual è il locale che serve nella zona in cui sono, qual è il valore che posso dare al quartiere. “Cosa devo offrire” e “quale esperienza voglio che il cliente che entra nel mio bar viva” sono domande che bisognerebbe farsi ogni giorno».
Cominciare a farsi la domanda, secondo Papa, è un primo, fondamentale passo: «Se ho chiaro in testa cosa voglio diventare, cosa voglio che il mio locale diventi potrò cominciare a ragionare sul percorso necessario per arrivarci. E avrò anche più chiaro quale tipo di competenze ricercare o sviluppare nei miei collaboratori. Voglio un bar informale, di quartiere, o un servizio elegante? Punto su un’accoglienza calorosa o un servizio rapido? La risposta a queste domande orienterà il tipo di collaboratori che cercherò di attrarre».
E se uno i collaboratori ce li ha già? «Se ho sempre avuto delle aspettative basse nei confronti dei miei dipendenti - spiega Papa - tipo: “ti ho assunto per fare i caffè. Devi essere veloce e non sporcare”, è chiaro che la persona sarà attenta solo a quello. Se comincio a raccontare il sogno, il progetto, potrò puntare a un coinvolgimento del collaboratore nella realizzazione. All’inizio probabilmente sarà complicato, incontrerò delle resistenze date dalla sensazione che si voglia qualcosa in più senza volerlo pagare. Occorre mettersi seriamente in gioco».
Da comandare a coinvolgere
Condivisione e coinvolgimento sono, per Papa, le parole chiave: «Una volta esplicitato il tipo di locale che voglio, potrò chiedere ai collaboratori che cosa vorrebbero trovare, da clienti, in un locale di quel tipo. Spesso succede che sarà il collaboratore per primo a definire le competenze occorrenti - spiega Papa -. Quando si coinvolgono i dipendenti, è importante esplicitare il criterio con cui si valuteranno le idee e le proposte; non ne esistono di sbagliate, ma sono utili o non utili, sostenibili o non sostenibili, più o meno prioritarie. Non si scarta, ma si ringrazia del contributo e si spiega perché si preferisce uno all’altro».
Una volta definite, con il contributo di tutti, le competenze necessarie da sviluppare per creare il tipo di locale voluto, è il momento di mettersi all’opera. «Qui è fondamentale rispettare una regola apparentemente semplice, ma che fa la differenza - sottolinea Papa -: la regola del “Chi fa cosa entro quando”. Implica da parte dell’imprenditore la capacità di delegare e di trasformarsi in un coach, in un trainer che aiuta le persone a sviluppare e consolidare sempre nuove competenze».
Anche sul come farlo ci sono delle regole precise: «Va costruito un progetto fatto di gradini successivi - spiega Papa -, evitando di pretendere tutto e subito. Si conquista e consolida un pezzo per volta».
Il valore di errori e feedback
Un elemento su cui Papa pone l’accento è la valutazione dell’errore: «Non aspettarsi errori non funziona, perché porta le persone a non impegnarsi per paura di sbagliare. L’errore, al contrario, deve essere il benvenuto. Va visto come un’occasione per capire cosa modificare, qual è il punto debole, dove occorre migliorare».
Ultimo aspetto fondamentale è quello del feedback: «L’ideale - suggerisce l’esperto - è dedicare 10-15 minuti a fine giornata per fare il punto con i propri collaboratori. È fondamentale cominciare sempre complimentandosi per le cose che sono venute bene, e solo in un secondo momento prendere in esame le aree di miglioramento. Possibilmente facendo vedere il comportamento da modificare e quello corretto».
Un percorso virtuoso
Ma facendo così, viene da dire, non si creano dei “mostri”? «Certamente sì - sorride Papa -. È chiaro che nel momento in cui sono riuscito a mettere in piedi un meccanismo orientato all’apprendimento e al miglioramento continuo, ho creato una macchina che non può fermarsi. Del resto le competenze non vanno soltanto create, ma mantenute, sviluppate e coltivate. Anche perché, così come cambia il mercato, anche queste cambiano nel tempo». Vale la pena imbarcarsi in questa avventura: «Facendolo - conclude Papa - sarò ripagato, oltre che dai risultati economici della mia attività, anche in termini di soddisfazioni personali».
UN TEST DI AUTOVALUTAZIONE
1. Al di là di augurarti di fare più incasso possibile, hai chiaro che indirizzo vuoi dare al tuo locale?
2. Sai quale target di clienti vuoi sviluppare oltre a chi viene già naturalmente?
3. Hai chiaro quale tipo di esperienza vuoi che i clienti vivano nel tuo locale? È coerente con
le esigenze e i trend del momento?
4. I tuoi collaboratori sanno/hanno chiaro qual è l’indirizzo che vuoi dare al tuo locale?
5. I tuoi collaboratori si limitano a “servire il pubblico” o sono consapevoli che stanno facendo vivere loro un’esperienza?
6. La direzione che ha preso nel tempo il locale corrisponde a quella voluta o si è creata da sola?
7. Con i tuoi collaboratori parli solo di problemi o anche di ciò che funziona e della direzione verso cui state andando?
8. Che immagine hanno i tuoi collaboratori di te? Quella di un capo al passo con i tempi e orientato allo sviluppo?
9. Tu e i tuoi collaboratori partecipate ad almeno un evento di formazione all’anno?