«È il gin perfetto per il Gin Tonic». Introduce così Francesco Pirineo, advocacy manager Compagnia dei Caraibi per l’Italia, la masterclass tenuta a fine marzo da Danil Nevsky, Global Brand Ambassador di Martin Miller’s Gin. L’etichetta premium dal cuore inglese (con un tocco liquido di Islanda, perché l’acqua con cui è prodotto viene appunto da sorgenti islandesi), che sempre di più è destinata a diventare cruciale per il business del distributore, insieme alle recenti acquisizioni di Sabatini e Dictator, dopo l’annuncio di Brown Forman di riportare in house la distribuzione di Gin Mare dal 2025. Eravamo a Roma, nella sala principale di Mantis, il nuovo locale un po’ wine bar un po’ cocktail bar di Marco Martini, chef stellato che ha sempre creduto nel pairing food&cocktail.
Danil Nevsky, tra i 100 bartender più influenti al mondo, si autodefinisce in maniera autoironica «alcolista viaggiatore full time», ma quella che dimostra è una visione decisamente lucida del mondo della miscelazione. «Prima di diventare barman - racconta il global ambassador - ho studiato ingegneria e questo mi ha lasciato un modo di ragionare che porta puntualmente a pensare a come si costruisce qualsiasi cosa». Quindi, «cosa sono i cocktail?», si chiede l’esperto: «È qualcosa nel mezzo fra magia e scienza. La scienza sta dietro, è nella preparazione, nell’utilizzo di strumenti complessi come il rotavap, la magia è per chi beve, che non vuole altro che divertirsi».
“Creatività” è la parola d’ordine per Nevsky, che utilizza un cubo di Rubik, spiegando che a ogni faccia corrisponde un elemento fondamentale per il successo di un drink. Sei elementi, quindi: gli ingredienti, la garnish, il profumo, il bicchiere, la storia e il rituale che precedono il drink e, ultimo ma non ultimo, il nome. Un esempio? «In una drink list di un locale di Firenze ho letto questo nome: Cocco Siffredi. È un liquore al cocco, ma il nome, ragazzi, è geniale. Se metto un nome che sia così accattivante, ammiccante, so già che quel drink venderà. Al contrario, con un nome che non incuriosisce darò all’ospite il messaggio che quel cocktail per me è meno importante e sarà meno ordinato».
Su tutto, conclude il barman, è fondamentale capire qual è la nostra “purpose”, l’obiettivo: «La “purpose” - chiarisce - è il modo in cui risolverò il mio cubo di Rubik, dando un senso ad ognuna delle sei facce, però nel bar non c’è nulla di così preordinato. Think outside the box». Pensare fuori dagli schemi, ecco l’esortazione di Nevsky. E per rendere tutto più evidente lancia in terra il suo cubo di Rubik, che finisce in mille pezzi.