All’altro capo del telefono risponde una voce dal dialetto familiare. È napoletana, simile alle tante che si rincorrono nelle chiacchiere tra i vicoli del centro storico, il giorno per l’università, la sera per i drink e il divertimento, in quel dedalo di persone e nazionalità che è la Napoli delle notti estive. Nel raccontarmi le prime sensazioni in uno dei posti più prestigiosi al mondo, Giulia Cuccurullo è fiera, decisa e particolarmente emozionata: la ragione è nel ruolo di head bartender all’Artesian di Londra, il bar che ha cambiato per sempre la storia e l’approccio al bere miscelato in tutto il mondo. I nomi passati da quelle parti sono di quelli che fanno tremare i polsi: Alex Kratena, Simone Caporale, Remy Savage, Marco Corallo. Stavolta è toccato a lei e alla storia di una ragazza partenopea cresciuta nel fermento culturale della Napoli di inizio Duemila, partita con il sogno dell’architettura. Un approccio messo al servizio, grazie alla sue estrema sensibilità, della Londra del bar visionaria dell’ultimo decennio.
Domanda di rito per iniziare: cosa si prova ad essere diventata head bartender all’Artesian?
Un po’ spaventata e affascinata allo stesso tempo. È quella che io la chiamo “paura buona”. Quella che ti spinge a comprendere l’infinita responsabilità del ruolo, che nasce dal peso dei nomi passati, dall’importanza che ha questo posto nel mondo della mixology mondiale. Quella che mi spinge a dire “Ok. Mettiamoci sotto”.
Un po’ quella che abbiamo tutti dalle nostre serate fiume, a Napoli. Quelle dei tuoi inizi…
Eh sì. Le serate al Nabilah, le mie primissime avventure da bartender: quando arrivava la fiumana di persone, tutta assieme. Io abbassavo la testa e lavoravo, aspettando di alzarla solo due ore dopo. Se ci penso, lì forse è nata la mia concezione di paura buona.
E forse è nato anche il tuo approccio alla miscelazione: semplice, lineare, molto pulito.
Nel mio percorso all’Artesian, che dura oramai da tre anni, l’avanguardia è un valore che va coltivato quotidianamente al banco e in laboratorio: devi trovare un modo per raggiungerla di continuo. Nel mio approccio seguo la logica del risultato. Devo raggiungere un obiettivo nella combinazione di sentori, analizzo tutto: dalla base alla garnish, tutto deve avere una logica e un senso. In questo percorso, scelgo sempre le soluzioni più semplici e immediate, anche se poco ortodosse. Non ci avevo mai pensato, ma forse è figlia dell’arte d’arrangiarsi tutta partenopea (ride ndr.).
Un approccio che avrai applicato anche nella nuova drink list dell’Artesian, chiamata Connections, che nasce dalle esperienze frutto della condivisione nell’anno della pandemia.
Assolutamente. Assieme ad Anna Sebastian, bar manager dell’Artesian, abbiamo realizzato questa drink list che è composta da cinque sezioni (Wellness, Celebrations, Community, Sustanibility e Happiness), ispirate tutte dalla condivisione di esperienze. Come quella della sostenibilità, che è anche un monito. Per esempio, nel nostro Around the Kitchen mettiamo in infusione i residui di caffè dell’albergo che ospita l’Artesian e le bucce degli ananas che utilizziamo, congeliamo il tutto e ne ricaviamo un ghiaccio che dona una nota aromatica in più alla combinazione complessa di gin, rum aromatizzato agli scarti di banana, e orzata ai semi di avocado, lime e cachaca che compongono il drink. Se te lo racconto è complesso, ma ti assicuro che sono tutte soluzioni estremamente pratiche e accessibili a tutti.
Bisogna arrivarci però. Tu come fai a sviluppare il tuo talento per l’innovazione?
Ascolto tanto e ascolto tutti. Bisogna sempre aprire le orecchie e il cuore alla sorpresa. Per dire, nell’ultimo viaggio in Puglia ho scoperto che friggono la pasta e ceci. Incredibile, non ci sarei mai arrivata!