Sfumature di gusto inattese, leggerezza, complessità, emozione: sono le sensazioni che Emanuele Balestra punta a far trovare nei propri cocktail. Con l’aiuto di un esercito silenzioso e discreto di cui si prende cura appena può. I loro nomi? Basilico thai, salvia dorisiana, timo della Giamaica, rosa di maggio, melissa, camomilla romana e tanti altri. La maggior parte di loro fa bella mostra di sé sul bancone del Bar Galerie du Fouquet’s dell’Hotel Barrière Le Majestic di Cannes, lussuoso albergo di fronte al mare e al Palazzo dei Congressi che da sempre è il fulcro della vita del Festival del Cinema. Non per esibizionismo, ma per utilità: perché piante, fiori ed erbe sono i protagonisti dei drink firmati da Balestra, di professione bar manager, che intanto che dirige la sua squadra di una cinquantina di barman disseminati tra il Le Majestic e il Gray d’Albion (oltre a quelli dell’hotel di Courchevel e, senza contare il team che sta creando per la prossima apertura di Saint Barth, nelle Antille francesi), si dedica alle piante, agli ingredienti e allo studio dei cocktail.
Due orti e un laboratorio
Tutto nasce in due angoli nascosti dell’albergo, più un terzo sotto gli occhi di tutti ma così discreto da passare inosservato ai più. Sono i due orti-giardino e il laboratorio da cui Emanuele ricava gli ingredienti chiave per i suoi drink.
I due orti-giardino sono molto diversi l’uno dall’altro: il più grande si mimetizza nel verde che contorna la piscina dell’albergo, alle spalle del bar La Terrasse Piscine, uno dei tre dell’albergo. L’altro, nascosto alla vista, è quello che Emanuele chiama, scherzosamente ma non troppo, “il mio ufficio”: una terrazza sul tetto dell’albergo dove convivono un minuscolo orto di qualche metro quadro, qualche vaso, le arnie delle api (sì, Emanuele si produce anche il miele) e un bancone. «È il posto dove mi trovo con i miei collaboratori - spiega - per studiare come utilizzare le piante e provare i nuovi cocktail. Ed è anche la sede in cui organizziamo 4-5 masterclass all’anno chiamando esperti di tutto il mondo e invitando anche i colleghi bartender di Cannes».
Perché due orti? «Le piante crescono in modo diverso: in quello sul terrazzo, battuto da un vento molto salino, la piante maturano più velocemente, sono più ricche ma durano poco».
In comune, i due orti, hanno una curiosa casetta di legno che sembra uscita da un libro di gnomi e fate: la casa degli insetti. «È una presenza fondamentale- spiega Emanuele - perché i vari insetti che ospita fanno sì che le piante non vengano attaccate dalle pulci e dai parassiti e che possano crescere sempre in perfetta forma».
L’altro “posto segreto” di Emanuele è il suo piccolo laboratorio, ricavato negli spazi di servizio dell’albergo: è qui che fiori, foglie e frutti vengano essiccati, cotti, congelati per diventare bitter, cordiali, gelatine o sfere di ghiaccio aromatizzate. Pochi metri quadri che trasmettono un senso di ordine, pulizia, cura. Le attrezzature chiave stanno tutte in un piccolo armadietto: ci sono l’essiccatore, la piastra a induzione e il roner. «A maggio si aggiungerà l’estrattore a ultrasuoni - spiega Emanuele - che ci permetterà di estrarre le molecole delle piante in modo più intenso e più veloce».
L’inizio della primavera è un periodo chiave, in cui gli orti-giardini prendono forma con le nuove piante. La scelta è il risultato di un processo cominciato molto prima. A fine ottobre, infatti, Emanuele si reca al Mip di Grasse, il Museo Internazionale della Profumeria, per scegliere le piante. Saranno loro a coltivarle, nutrirle e consegnarle a Emanuele a fine marzo per piantarle nei suoi orti: «Insieme a La Maison des plantes di Nizza, una delle più fornite erboristerie di Francia, il Mip è la mia più grande fonte di ispirazione. La conoscenza delle piante dei profumieri è inarrivabile». Una delle caratteristiche del Mip è di studiare e coltivare piante provenienti da tutto il mondo: «Ogni anno mi suggeriscono qualche nuova pianta da provare a coltivare, aprendomi nuovi scenari. Io accolgo le loro suggestioni, ma cerco di fare le cose per gradi. Se introduco una nuova pianta, per esempio ho bisogno di un tempo per conoscerla e per studiarla prima di capire come poterla utilizzare. Di solito passa almeno una stagione. Con le piante bisogna stare attenti: se non si conoscono a fondo, con estrazioni, essiccazioni e compagnia si possono fare dei danni».
Esperienze e competenza à la carte
I cocktail proposti da Emanuele sono complessi da realizzare, ma facili da bere. Sono quasi tutti twist su grandi classici, in cui il tocco di unicità è dato da un ingrediente chiave di origine vegetale: dal Daiquiri melissa al Majestic julep, con la verbena, dalla Caipiroska ai fiori di finocchio o allo zafferano al Negroni invecchiato alla camomilla. Le ricette (comprese le due che trovate in queste pagine) sono raccolte in un libro, “Majestic cocktails”, appena pubblicato.
Le modalità di preparazione dei drink e dei singoli ingredienti che li compongono, come avete letto, sono spiegate nel dettaglio: «Condividere le informazioni e le conoscenze è uno degli aspetti che mi piace di più del mio lavoro». E mentre me lo sta raccontando, regala due boccette dei suoi preziosi bitter a un collega bartender che reputa «troppo forte».
Tutto il contrario della paura di essere copiati, anche perché «il mio modo di intendere il lavoro prevede una continua evoluzione». Ma non è solo questo: «Le mie competenze di oggi - racconta - sono il frutto di tanto studio ma anche del lavoro fianco a fianco con chef, pasticceri e colleghi bartender che mi hanno passato con generosità i loro saperi. Alcuni dei drink che considero più riusciti sono il frutto di queste collaborazione: è stato così per il Biles fizz, il nostro top seller, la cui acqua di bietola è frutto del lavoro con Olivier Biles, compianto braccio destro del grande chef Pierre Gagnaire e mio grande amico. Ed è così per la linea di liquid dessert studiati con lo chef patissier del Majestic, Michaël Durieux. Abbiamo ribattezzato il nostro lavoro coniando un nuovo termine: la bartisserie». Il risultato sono drink che si chiamano Tiramisù, Crêpe suzette o Paris-Brest e che non sono altro che la versione liquida e alcolica degli omonimi dolci.
Emanuele considera gli chef pasticceri le migliori “cavie” per ogni nuovo drink che mette a punto: «Li fasso sempre assaggiare per primi a loro: non hanno la sensibilità di noi bartender sulla parte alcolica, ma sulla valutazione dell’equilibrio sono imbattibili».
La passione, la curiosità, lo studio e l’apertura alle relazioni sono l’ordito sul quale Emanuele ha costruito la trama della sua carriera che lo ha portato a girare il mondo approfondendo in Belgio la conoscenza delle birre trappiste, il Scozia quella del whisky, a Chicago i principi della liquid kitchen, a Mauritius i rum. Ma è il Marocco l’esperienza che più ha influenzato l’evoluzione professionale di Emanuele: lì è rimasto quattro anni, lavorando in collaborazione con lo chef Alfonso Iaccarino nel resort di lusso La Mamounia. «Non avendo a disposizione molte bottiglie - racconta - mi sono dovuto inventare un nuovo modo di fare i cocktail. Con l’aiuto dello chef ho scoperto le piante e le spezie locali e le ho iniziate a utilizzare per profumare i miei drink».
Da lì ad appassionarsi il passo è stato breve: «Le cose viventi sono le più esaltanti, perché sono in continua crescita, in continua evoluzione. E ogni pianta ogni anno è diversa, perché sarà vissuta in un microclima diverso. Rapportarti con le piante ti costringe a non restare fermo, a cercare ogni volta un nuovo punto di equilibrio. Ed è un’attitudine che poi si finisce con il trasferire anche alle relazioni con le persone».
La cura delle relazioni è alla base del suo modo di interpretare il ruolo di bar manager: «Avendo lavorato in tutto il mondo ho dovuto imparare che per entrare in relazione bisogna capire le persone che si hanno di fronte e adattare il nostro modo di comunicare al loro modo di recepire le informazioni che gli stai dando». Il risultato finale è un criterio di selezione delle persone tanto semplice quanto efficace: «Quando devo costruire un team, cerco persone ottimiste, che stanno bene in mezzo agli altri. Fare i cocktail è una cosa che si può imparare più facilmente».