È disposto come una L: la gamba corta per la sala bar, l’asta più lunga per il ristorante. Nel mezzo, a mezzaluna, il bancone in legno, caldo, scenografico, con le bottiglie a creare una quinta di spirits, appena alle spalle. In un albergo a cinque stelle si pretende eleganza, e il Blue Lounge, il bar & restaurant del Meliá di Genova, non ne difetta. Siamo in via Corsica, zona borghese della città, fuori dalle rotte turistiche ma prossima a tutto.
Qui passano turisti, certo, ma soprattutto imprenditori: shipping, broker, finanza, il mondo degli affari. Se la vetrata che dà sulle porte girevoli d’ingresso regala l’idea del movimento, il bar d’albergo è un angolo a sé, una sorta di bolla dove tutto sembra immobile, aristocraticamente fuori dalle mode. Qui lavora un bravo barman, Gabriele Fantino, classe 1991, che senza svolazzi pindarici ha costruito una drink list d’indubbio interesse. «La carta attuale è la seconda release di una precedente - spiega Fantino - dove abbiamo voluto inserire cocktail più o meno classici, ognuno con uno storytelling e un twist elaborato da noi. Con questa iniziativa abbiamo alzato l’asticella».
Classici vs twist
La carta si chiama “The Rivals”. Classici vs twist. Un modo per offrire al cliente abituale rotte conosciute e magari accompagnarlo verso paesaggi inconsueti. Una buona idea in un luogo dove la clientela è costituita in maggioranza (70%) da clienti d’albergo, perlopiù stranieri, in cerca di comfort e sicurezze. «Ma la catena non ci impone particolari protocolli - confida Fantino - se non un’attenzione al servizio che deve essere da cinque stelle e che mette al centro di tutto il cliente. Anche catene così grosse hanno infatti compreso quanto sia importante costruire un’offerta bilanciata su misura sull’effettiva clientela che un albergo attrae. Nel nostro caso il concetto di regionalità è molto forte. Nel buffet della colazione, ad esempio, c’è un corner ligure, con focaccia tipica, torte salate, yogurt e formaggi della Val d’Aveto (vallata dell’entroterra genovese, ndr), salumi locali».
Un concetto che ritorna nei cocktail. Prendiamo il The Fisherman’s Ukulele, twist del classico Zombie: troviamo una grappa al Vermentino, il Liquore Persichetto di un produttore ligure (Lunae Bosoni), l’Amaro Santa Maria al Monte (icona genovese, anche se di proprietà Caffo), fino a un brandy italiano. Un tiki dal taglio ligure-italiano, il più possibile.
Tre tipologie di servizio sul Martini
Dall’altalena tra classici e twist, esce fuori una carta variegata. La scelta dei cocktail base non è priva di coraggio. Classicissimi old style come Corpse reviver no.2, Hanky Panky e il Sazerac trovano spazio a fianco di evergreen come Daiquiri e Mint Julep, a new classic come il Penicillin e il Tommy’s Margarita e a drink mainstream come il Moscow Mule. Al Negroni, per i 100 anni del Conte, sono dedicati addirittura 4 twist, tra cui l’interessante Don The Beach Conte, versione decisamente tiki (Sailor Jerry Rum, Plantation Pineapple Rum, Vermouth Cocchi, Aperol infuso al cocco, Angostura Bitters, crusta al cocco e arancia amara). Ovviamente un bar così è il luogo perfetto dove azzardarsi a ordinare un Martini. «Abbiamo tre tipologie di servizio. Un servizio build up con vodka o gin ghiacciato in coppetta e nebulizzazione di mix di vermouth. La seconda in mixing glass e se lo chiedono molto dry procediamo anche con lo shaker». Gin e vodka sempre in freezer, così come le coppette, e come garnish a scelta peel di oliva o limone: la classicità.
Ed eleganza è la parola chiave delle garnish. «Le nostre sono decorazioni minimaliste, mai pacchiane. Ogni cocktail ha la sua garnish, può essere una semplice peel ritagliata di arancia o limone, o un frutto essiccato: l’ananas per l’Espresso Mar’tiki o caramelle di zenzero per La Medicina de Los Mariachi, che è il nostro twist del Penicillin».La bottigliera è compatta. «La nostra scelta è di avere poche bottiglie, ma che possano coprire un’ampia varietà. Non vogliamo prodotti simili, ma ciascuno con una propria identità. Abbiamo 15 gin, tutti diversi tra loro. Stessa cosa vale per i rum. E così per whisky, vodka e altri distillati. Ad esempio, nel mondo dell’agave, abbiamo quattro Tequila (due blanco, un anejo, un reposado) e due mezcal (un reposado e un joven). Piuttosto che proporre un altro brand di Tequila, abbiamo inserito prodotti diversi come il sotol e il raicilla». Pochi gli homemade, anche se in crescita. Il più particolare è forse lo sciroppo di zucchero al jerk usato per il twist del Daiquiri. È il Buffalo Soldier (rum Appleton Estate 12 years, Pimento dram, succo di lime, sciroppo di zucchero al Jerk), unico cocktail che subisce un processo di affumicatura (con foglie di tabacco e legno di limone, per un risultato fresco e poco aggressivo).
In accompagnamento ai cocktail, è servito un tris all’italiana, composto da patatine, olive taggiasche e mandorle tostate. In orario aperitivo si aggiunge un piattino di appetizer. E chi vuole, può affiancare piatti 24/24 ore (come insalata caprese, cima alla genovese, selezione di salumi o formaggi) o, in orario di cucina, uno starter (jamon serrano, per esempio, o polpo scottato con le patate) o anche un main course.
Da citare, infine, la scelta plastic free, assolutamente di tendenza. «Qui è praticata da un paio di anni, ed è una filosofia sposata appieno dalla catena. Usiamo pochissime cannucce, e solo di metallo o plastica compostabile».