Sono noti come modern classics e nascono in epoche differenti della miscelazione. Prevalentemente tra gli anni Settanta e i Duemiladieci, tra la cosiddetta Second Dark Age (1966-1990) e la Platinum Age, l’era attuale. Sono ricette che hanno segnato un periodo e reso celebri i loro autori. Ne parliamo perché si tratta di bevande miscelate che stanno tornando alla ribalta. Ammesso che dalla ribalta ne siano mai scese.
A farci da guida le voci e le testimonianze di alcuni degli autori di drink iconici noti su scala planetaria. In questo articolo, ci concentreremo sull’Old Cuban e il Gin Gin Mule di Audrey Saunders, il Pornstar Martini di Douglas Ankrah, il Paper Plane di Sam Ross, l’Espresso Martini di Dick Bradsell, il Cosmopolitan di Toby Cecchini e il Paloma, drink attribuito a Don Javier Delgado che però ne ha più volte negato la paternità. Ma non aspetteremo la prova del dna perché quando si tratta di cocktail riteniamo più corretto fare riferimento al padre adottivo, colui che ha reso famoso il drink, piuttosto che al padre biologico. Cosa sarebbero stato il Daiquiri senza Ribalaigua e El Floridita o il Mojito senza La Bodeguita del Medio? Prima di entrare nel vivo della questione, riteniamo utile inquadrare il fenomeno dei modern classics. Partendo da un episodio. Nell’aprile del 2017 durante una tappa del Tales on Tour, l’evento itinerante di Tales of the Cocktail di New Orleans, Jacob Briars moderò una tavola rotonda in cui intervennero Tom Walker (autore del modern classic Maid in Cuba, 2014), Naren Young (già al Dante di New York, primo locale nella classifica dei World’s 50 Best Bars) e Shervene Shahbazkhani, alla guida del Bacardì Brown Forman advocacy team nel Regno Unito. L’incontro prese il titolo di “How to Create a Modern Classic”.
Le otto regole per creare un modern classic
Da questo think-tank emersero almeno otto suggerimenti utili.
1. Scegli un buon nome per il drink. Dietro una grande ricetta deve esserci un grande nome, comprensibile a tutti e in grado di vendere prima della comanda.
2. Sii semplice. Difficile creare qualcosa di totalmente originale con prodotti classici, meglio azzardare introducendo nuovi prodotti.
3. Fai che il cocktail sia replicabile. Se realizzi un drink con ingredienti dallo spazio e home-made che sai fare solo tu, dimenticati che altri barman potranno duplicare il tuo cocktail.
4. Non essere timido e fallo conoscere. Tom Walker, che ai tempi lavorava all’American Bar del Savoy di Londra, ha raccontato che per promuovere il suo Maid in Cuba (poi vincitore della Bacardì Legacy nel 2014) preparò 20.000 volte il suo drink. E ogni giorno chiedeva ai suoi contatti di preparare un Maid in Cuba, scattare una foto e metterlo sul menu.
5. Sii fedele al tuo drink. Molti bartender preparano un ottimo drink, quindi passano al prossimo, tra l’altro scervellandosi con gli ingredienti e le combinazioni più astruse, dimenticandosi del successo di quello precedente.
6. Non rendere ovvio il tuo drink e crea un rituale di servizio.
7. Fallo tuo anche se non è tuo. Perché anche se non sei il titolare di un classico moderno, almeno puoi metterci la firma. C’è il White Lady del Bar High Five di Tokyo, il servizio del Martini Cocktail al Connaught Bar, il Barrel Aged Negroni al Clyde Common di Portland o l’Irish Coffee al Dead Rabbit di New York. Per questi locali certi classici sono diventati uno strumento fondamentale sia in termini di fidelizzazione, sia per la comunicazione.
8. Continua a farlo. L’idea, condivisibile, di Jacob Briars è che il motivo principale per cui il tuo drink non diventa così famoso come pensi che dovrebbe essere è che ti annoi a farlo prima che qualcuno abbia davvero avuto la possibilità di sentirne parlare. Detto che non è indispensabile creare modern classics per essere grandi bartender, va riconosciuto ad alcuni personaggi di essere (o essere stati) gli uni e gli altri. Grandi maestri di cerimonia, dietro e fuori dal banco, e al contempo brillanti creatori di misture destinate a rimanere nella storia.
Don Javier Delgado Corona e la diffusione del Paloma
Iniziamo da una data e da un personaggio. Anno 1955. In Messico comincia la commercializzazione di prodotti a marchio Squirt, tra cui la soda al pompelmo. Ma bisognerà aspettare gli anni Settanta per avere la prima testimonianza scritta di una combinazione di Tequila, lime e Squirt al pompelmo. Dicevamo all’inizio che il personaggio a cui è generalmente legato questo drink è Don Javier Delgado Corona, di recente scomparso all’età di 93 anni, bartender e titolare de La Capilla nella città di Tequila. Anche se non è stato lui a creare il Paloma - come riporta anche lo storico della miscelazione Jim Meehan in “Meehan’s Bartender Manual" - Delgado ha avuto un ruolo di primo piano nella diffusione di questo miscelato. Siamo invece certi che Delgado sia stato autore di un altro drink, nato nel suo locale nel 1961, e molto popolare in Messico chiamato Batanga, mix di Tequila, lime, Coca-Cola, con orlatura di sale.
Cosmopolitan, successo planetario di paternità incerta
Un altro drink dalla paternità contesa è il popolarissimo Cosmopolitan, erede moderno del Kamikaze. Più autori e autrici se ne contendono la paternità. La prima versione è del 1985 e porta la firma di tale Cheryl Cook, bartender attiva tra il 1985 e il 2000 e conosciuta a Miami come “The Martini Queen of South Beach”. Toby Cecchini è colui che nel 1988 ha creato la versione semplificata e oggi più nota e diffusa, mentre Dale DeGroff è il bartender che ha reso celebre il “Cosmo” nel mondo. La storia va così. Tra il 1987 e il 1999 DeGroff era alla guida del Rainbow Room al Rockefeller Center di New York. Nel suo locale era un via vai di celebrità. Una sera del 1996 arriva anche Madonna, reduce di un grande successo come attrice per il film Evita Perón e di un Golden Globe. La signora Ciccone siede ovviamente nel posto migliore del locale. Fotografi e paparazzi la immortalano con il “Cosmo” in mano. Da lì in poi il drink schizza nell’empireo. La consacrazione definitiva come icona glamour avviene nella serie tv “Sex and the City”, grazie a Sarah Jessica Parker che interpreta una scoppiettante Carrie Bradshow assettata di gustose miscele in rosa.
I nuovi drink di Londra...
Nel nostro percorso di ricerca non potevamo non includere Dick Bradsell, all’anagrafe Richard Arthur Bradsell (nato nel 1959 e scomparso nel 2016), il bartender che negli anni Ottanta contribuì a cambiare faccia alla scena del bartending londinese con creazioni come Bramble, Russian Spring Punch e soprattutto l’Espresso Martini. Bradsell, come raccontò in un’intervista pubblicata da Difford’s Guide, creò questo drink nel 1983 quando lavorava alla Soho Brasserie. «Arrivò una cliente e mi chiese un drink che la svegliasse e che allo stesso tempo la rendesse euforica. Intorno a me avevo i due ingredienti ideali: il caffè espresso della nostra caffetteria e la vodka che era lo spirit più popolare del tempo. Così unii le due cose e nacque l’Espresso Martini». Bradsell fu un po’ una primula rossa della sua epoca, mentre a inizio Duemila quando Douglas Ankrah creò al Lab di Soho (prima di arrivare al Townhouse) il suo Pornstar Martini, detto anche Maverick Martini, lo scenario era ben diverso. Per descriverlo concedetemi un aneddoto personale. Nel 2005 in occasione di Ife, fiera londinese del settore, mi trovai di fronte ai fondatori del Worldwide Cocktail Club: l’indimenticabile Henry Besant e Dré Masso. Worldwide Cocktail Club era una neonata società di consulenza nata per diffondere una diversa prospettiva della miscelazione, fatta di preparazioni home-made, nuovi liquori e gusti diversi come mi spiegò la mia giovanissima e speciale guida. Parlo di Agostino Perrone, oggi uno dei top bartender al mondo. “Ago” mi portò tra i bar di Soho e quella che considerava la culla dove tutto era nato: il Lab di Douglas Ankrah. «Il Pornstar Martini - ha scritto l’autore - è un drink da consumare in tre fasi. Prima, col cucchiaino, si assaggia la polpa del frutto della passione. Poi si beve il bicchierino di Champagne, infine ci si gode il drink». Era un’idea di servizio destrutturata e, al tempo stesso, il cocktail era semplice, facile da replicare e con un nome difficile da dimenticare.
...e quelli di New York
Parallelamente, negli stessi anni, qualcosa di molto importante si muoveva anche a New York. Aprì il Milk&Honey e con lui iniziò a diffondersi la moda degli speakeasy. È in questo quadro che Sam Ross, bartender di origine australiano, dà vita a due tra i più noti classici moderni. Prima nel 2005 con il Penicillin, un drink costruito sull’impalcatura del Whisky Sour, profumato dalle note torbate di whisky scozzese e con un kick di zenzero fresco. Nel 2007, agli albori dell’amaromania negli Stati Uniti, Ross elaborò il Paper Plane. Ne parla così in un’intervista rilasciata al magazine americano Punch ripresa dal libro “A Proper Drink” di Robert Simonson: “È uno dei miei due drink che ha viaggiato di più. Un “parti-uguali” di Bourbon, Aperol, lime e Amaro Nonino Quintessentia che creai per l’apertura di un bar in cui non ho mai lavorato: The Violet Hour di Chicago. Usai prima Campari che poi sostituì con Aperol e Amaro Nonino Quintessentia, due rose nascenti del movimento del cocktail di allora”.
I twist sul Mojito di Audrey Saunders
Il gran finale di questa storia prevede l’entrata in scena di una super star. Il nostro collaboratore Shane Eaton ha incontrato per Bargiornale Audrey Saunders, una delle più grandi bartender della storia non solo recente, per farsi raccontare i suoi Gin-Gin Mule e Old Cuban. «Ho creato il Gin-Gin Mule nel 2000 al Beacon Restaurant. Era una miscela di Mojito e Moscow Mule. Il Mojito era una novità a New York nel 1999. Fu Dale DeGroff a insegnarmi la ricetta quando lavoravo al Blackbird. Dopo la chiusura nel 2000 del Blackbird, mi sono trasferita al Beacon Restaurant dove sono diventata head bartender. Il Mojito nel tempo diventò uno dei miei drink preferiti. Era la prima volta che sperimentavo un’erba in un drink e mi innamorai del sapore fresco della menta. Per il Gin Gin Mule sostituì il rum con il gin e poi aggiunsi una ginger beer artigianale preparata grazie all’aiuto dei nostri cuochi per dare alla ricetta un tocco spicy».
«L’Old Cuban - continua Saunders - nasce nel 2001 sempre sulla scia della mia passione per il Mojito. In questo caso volevo creare una versione del Mojito che fosse gradita sia a Capodanno sia in una giornata calda. L’Old Cuban per me è un Mojito in un miniabito nero da cocktail. Frizzante, limpido, rinfrescante, ma allo stesso tempo elegante e festoso, complesso e profondo. In un Mojito classico si usa la club soda. La club soda è una buona soluzione per un rum bianco e nel complesso tutto risulta ben bilanciato e leggero. Ma a Capodanno (o in altre occasioni) non bevo club soda, ma Champagne. Se a un Mojito preparato con rum bianco si aggiunge lo Champagne, la leggerezza del rum bianco è dominata dallo Champagne, giusto? Ma se sostituiamo il rum bianco con un rum invecchiato, la cosa comincia ad avere più senso. I due ingredienti si completano a vicenda, sono più equilibrati e in sintonia. Gli elementi bitter di Angostura servono ad aggiungere più profondità e complessità, oltre a legare insieme tutti gli altri ingredienti».