Febbraio 2020. Probabilmente il peggior mese dell'ultimo decennio in cui mettere insieme tutti i propri risparmi e avviare un'attività. Eppure, la storia di Groovy Fluids inizia così. In realtà inizia molto prima, con le singole storie dei cinque soci del gruppo: Andrea Boi, Stefano Pastorino, Alessandro Rancan, Laura Brady e Agnieszka Sudnikovic. Tre italiani, una inglese e una polacca. Tutti bartender che hanno navigato per anni nel mondo dell'ospitalità, dai ristoranti stellati ai bar di quartiere di tutta Europa. Per poi trovarsi a lavorare insieme a The Duchess, uno dei ristoranti più rinomati di Amsterdam. Insieme cominciano a dare forma a un'idea: quella di creare un laboratorio dove vengono creati cocktail ready to drink, che sia però anche un luogo di incontro per colleghi, appassionati e curiosi. Uno spazio di formazione, scambio e approfondimento.
Dalla bottiglia al bicchiere
Insieme, il quintetto unisce i propri risparmi (l'investimento totale sarà di circa 100.000 euro), affittando un fondo di circa 80 metri quadri. Dentro, lo riempiono di tutta l'attrezzatura che un barman può sognare: sonicatori, eveporatori rotanti, centrifughe, gasatori. Lo riempiono anche del loro obiettivo primario: creare una linea di cocktail in bottiglia fatta di sapori nitidi, bilanciamento e originalità. Il formato è la bottiglia da 750 ml o la mezza da 375, il packaging è semplice: bordolese classica con tappo a corona. Le etichette sono essenziali e arrivano subito al dunque: Bergamotto Road, Chinotto Affair, Plum Fiction, Saffron Calling. Nel nome del drink si intuisce quello che sarà il gusto primario, le gradazioni oscillano tra i 7 e i 12 gradi alcolici, venendo così incontro a un consumo direttamente dalla bottiglia al bicchiere, senza bisogno di ghiaccio.
I liquori utilizzati non sono prodotti in loco, ma fanno parte dell'assortimento di Quaglia. Le collaborazioni con diversi brand sono frequenti, grazie alle connessioni che ciascuno dei membri del team ha nella industry. Nel tempo, sono stati creati drink con prodotti del portfolio di tutti i principali distributori mondiali.
Il fine è quello di tutti i barman: offrire la miglior esperienza possibile. La distribuzione avviene sia tramite il sito internet sia tramite le app di delivery, ma anche attraverso le numerose collaborazioni instaurate con altre realtà: vendita diretta durante i mercati all'aperto, vendita all'interno di ristoranti della città, fino all'organizzazione di eventi aperti a tutti, ai quali partecipano centinaia di persone.
Cocktail sartoriali e formazione
Le spirito collaborativo e condivisivo guida il gruppo e grazie a questo si sono sviluppate altre attività aziendali: per esempio, la possibilità per altri bar di utilizzare il loro spazio, di essere formati sul funzionamento dei macchinari e di avere accesso a preparazioni che nella maggior parte dei bar non sarebbero possibili. Attraverso una sorta di abbonamento giornaliero o mensile, i team di alcuni bar (al momento sono quattro, in tutta l'Olanda) possono trascorrere tra le 4 e le 8 ore settimanali nel laboratorio, venendo seguiti e avendo accesso a un vasto assortimento di ingredienti.
Non capita tutti i giorni di avere tutor del loro calibro, se si considera che tra i soci del Groovy Fluids c'è chi ha lavorato per anni nella Drink Factory di Tony Conigliaro, o chi ha vinto il premio come Best Female Bartender nella finale globale di World Class. Sebbene esempi simili siano sempre più presenti in Europa, quello di Groovy Fluids è l'unico laboratorio completamente aperto al pubblico, nel quale anche un semplice curioso può prenotare una formazione e dove anche un bar o ristorante può farsi creare una produzione sartoriale in conto terzi, con minimi d'ordine accessibili e competitivi di 500 bottiglie, poco più di 200 litri.
Ad oggi, dopo due anni di attività fatta di doppi turni tra il lavoro serale nei bar e quello diurno in laboratorio, finalmente un grande obiettivo è stato raggiunto: a partire dal prossimo mese, tutto il team inizierà a lavorare unicamente al progetto, che sta crescendo al punto che – chissà – forse tra poco vedremmo le loro bottiglie anche in Italia. Una cosa è certa, se questa è la prima, non sarà certo l'ultima volta che sentiremo parlare de “la gang di Amsterdam”.