Le più recenti classifiche mondiali dei migliori bar e ristoranti stanno premiando l’Italia e il nostro modo di vivere il tempo libero: gli esempi sono sempre più numerosi nell’emisfero anglosassone, dall’arcinoto Dante, a New York, al Bar Termini di Londra, passando per le centinaia di bar che nel mondo servono Spritz e Negroni come punta di diamante dell’offerta. Anche il Giappone, un Paese con una cultura forte e orgogliosa, che difficilmente si lascia condizionare dal mondo esterno, sembra cedere al corteggiamento. Si parta da un dato: gli oltre 3000 ristoranti italiani presenti nella capitale giapponese, con un livello della cucina molto alto, grazie allo scambio di know-how avvenuto tra professionisti dei due Paesi: se sono molti i cuochi italiani che arricchiscono il proprio bagaglio esperienziale in Giappone, ancor di più sono infatti i giapponesi che lo fanno in Italia. Non si parla quindi di “linguini Alfredo” o “Spaghetti meatballs”, ma della proposta delle nostre ricette tradizionali spesso curata nei minimi dettagli.
A passo più lento, ma comunque incalzante, accanto alla ristorazione (molto spesso dentro le strutture stesse del ristorante), si stanno sviluppando sempre più i bar a vocazione tricolore, che impiegano esclusivamente prodotti italiani dietro il banco e che propongono quei drink dal gusto bittersweet che noi tutti conosciamo molto bene.
In occasione dell’ultima edizione de La settimana della cucina italiana nel mondo, l’iniziativa promossa dalla nostra rete diplomatico-consolare e degli Istituti Italiani di Cultura per promuovere all'estero la cucina italiana e i nostri prodotti agroalimentari, una quarantina tra bar e ristoranti di Tokyo hanno proposto il concetto di aperitivo all’italiana, con una programmazione giornaliera e numerosi eventi organizzati da vari brand nostrani che importano in Giappone.
Daniele Cancellara, bar manager del Rasputin di Firenze, in collaborazione con Nardini, ha vissuto la settimana da protagonista, con due guest-night tra il Benfiddich e il bar Le Pietre Preziose. Tra un highball a base grappa e un drink a base amaro, ci racconta che cosa possiamo apprendere e cosa insegnare in questo incontro di differenti culture. «L’idea di aperitivo è qualcosa che desta stupore nel consumatore giapponese. Come in tutte le culture, anche in quella giapponese esiste l’usanza di concedersi un momento di pausa dopo lavoro, magari bevendo una birra in un bar – spiega -. Il fatto però che, accanto a un drink, venga servito qualcosa da mangiare, siano anche delle semplici arachidi, apre subito un punto di domanda nella testa del consumatore, del tipo: “questo lo dovrò pagare? Ma io non l’ho chiesto!”. Tokyo, essendo una metropoli sempre attiva, non ha orari fissi. Le persone non hanno orari, soprattutto per ciò che concerne i pasti, che vengono consumati in qualsiasi momento della giornata».
La nostra consuetudine di fermarci in un bar per consumare qualcosa da bere accompagnata da un piccolo snack è spesso racchiusa in un orario ben definito della giornata, quello precedente la cena. Ciò non toglie che sia applicabile anche alla cultura asiatica, basta semplicemente ampliare la fascia oraria di riferimento. Il panorama dei cocktail bar è molto ampio a Tokyo e, per quanto la miscelazione giapponese sia spesso molto legata ai grandi classici, ogni bar ha la sua particolarità.
Tra questi cominciano ad apparire quelli legati al “bere all’italiana”. Ne è un esempio la coppia di locali chiamata “Bar Tabacchi” nel quartiere Setagaya. Piccoli bar che servono drink semplici, quali Spritz e Americano, accompagnandoli con qualche snack. Sono visti di buon grado, come una novità e con la curiosità e la capacità di affidarsi al barman che i clienti giapponesi hanno e sulla quale noi, invece, abbiamo tanto da imparare. «La maggior parte dei cocktail bar di livello non ha un menù o un listino prezzi – prosegue Daniele -. Ci si affida al bartender, spiegando in linea di massima che genere di drink piacerebbe bere, e per quanto riguarda il prezzo è assolutamente normale domandarlo prima di consumare. Il cliente medio di questo tipo di bar è alla ricerca di una esperienza e riconosce nella mano del barman un veicolo sul quale fare affidamento. Non è raro vedere persone sole al bancone, che prendono la visita al bar come un momento di gratificazione personale».
In questo modo nulla risulta strano o diverso dal solito, come spesso accade nelle cocktail list nostrane, dove il cliente fa fatica a comprendere ciò che sta per bere. Semplicemente, tutto è riconducibile a due grandi opzioni perentorie: il “mi piace” o il “non mi piace”. Il rapporto cliente-operatore è basato sull’ichi-go ichi-e, un concetto culturale che può essere tradotto nell’arte e nella capacità di rendere ogni momento unico. Unico, come quel bellissimo momento delle nostre giornate in cui abbiamo in mano un aperitivo.