Il gin è italiano?

Fulvio Piccinino Il Gin Italiano

La storia dell’origine del gin che tutti conosciamo racconta del medico e naturalista olandese Franciscus de le Boë Sylvius (o Franz de le Boë o de Boe su altri testi) che per primo nel 1614 produsse un olio essenziale di ginepro che mescolò con alcol per ottenere un diuretico a basso costo. Come spesso succede quando si racconta di “storia liquida”, anche questa verità, sembra in discussione. Nel nuovo libro Il Gin Italiano Fulvio Piccinino (pubblicato lo scorso maggio) - voce autorevole della liquoristica nazionale - porta alla luce testi alchemici del Cinquecento, libri di liquoristica rinascimentale e dell’Età Moderna, che confermano che la storia dei gin italiani e dei liquori al ginepro si perde nella notte dei tempi. Non potevamo farci sfuggire l’occasione per indagare direttamente con l’autore di questa originale monografia le origini tricolori del nostro caro distillato.

Perché un libro, un altro, sul gin?

Prima di parlare del libro, mi piacerebbe partire dalla dedica: A tutti i barman e produttori di gin italiani. Mi auguro che questo libro possa diventare per loro uno strumento di lavoro, il cui contento li renda orgogliosi di appartenere a questo meraviglioso paese. Ma adesso partiamo. Si dice che solitamente non bisognerebbe iniziare una recensione dicendo quello che il libro non è...Ma sono futurista e i futuristi erano famosi per il pranzo al contrario. Pertanto, comincio dicendo quello che non si trova in Il Gin Italiano. Penso sia necessario. Non è un libro fotografico, non ci sono le recensioni di gusto e utilizzo dei gin italiani, ma solamente le aziende con i nomi dei produttori, perché le aziende sono fatte da uomini e non solo da prodotti, il tutto condensato in poche righe. Non sono citati i cocktail famosi, ma solo alcuni dimenticati e particolarmente interessanti, e anche qui senza foto. Non c’è nessuna recensione delle toniche e non mi interessa nel modo più assoluto il loro abbinamento. Non è il mio lavoro. Non c’è la storia che tutti conoscono e che hanno letto, ma una nuova versione dei fatti, a forti tinte tricolore. Non c’è la foto della Gin Lane.

gin
Tavola botanica di Castore Durante

È un libro che non c’era e che dimostra, attraverso un’analisi storica rigorosa, le origini italiane del Botanical Gin. Pur ritenendo i precedenti testi degli ottimi lavori, nessuno aveva analizzato la bibliografia antica, puntando invece sul sicuro e lavorando principalmente sulle recensioni dei prodotti, realizzando libri più simili a una guida dei vini. Chi conosce il mio lavoro e ha letto Saperebere e Il Vermouth di Torino, sa che preferisco i contenuti alle immagini e che cerco di mantenere i prezzi dei miei libri contenuti per dare modo a tutti di potervi accedere. Non è uno svilimento del contenuto, ma un’idea di comunicazione per rendere la cultura fruibile a tutti. Inserendo troppe foto o immagini a colori si creerebbe un libro per collezionisti o amanti della storia, ma se ne precluderebbe la fruizione a quelle persone che non hanno budget stratosferici per la loro formazione.

È tempo di riscrivere la storia del gin?

Si assolutamente. Il testo è incentrato sul ritrovamento di un documento sensazionale datato 1555 che dimostra come la prima distillazione di Botanical Gin sia italiana. Seguono altri testi di alchimia, farmacopea e liquoristica a dimostrare che noi italiani il ginepro lo sapevamo e lo sappiamo lavorare e non siamo secondi a nessuno. Inoltre, il libro chiarisce alcuni aspetti finora trattati in maniera superficiale. Tutti fanno riferimento alla Scuola di Salerno quando parlano di origine italiana del gin, ma non è esatto. La macerazione del ginepro era in vino, pertanto non esattamente quanto noi prevediamo oggi per la produzione del gin. Quando si fa ricerca dobbiamo sempre cercare il prodotto più vicino a quello che intendiamo oggi, altrimenti l’inventore del vermouth sarebbe il gourmand dell’Antica Roma Marco Gavio Apicio e tanti saluti a toscani e torinesi. Quindi cosa è il gin, oggi? Nella maggioranza dei casi, escluse alcune tipologie o prodotti dell’ultima generazione, è un distillato ottenuto dal passaggio in alambicco discontinuo di un macerato in alcol di più piante, dove il ginepro è egemone al profumo e al gusto.

gin Alessio Piemontese
De’ secreti di Alessio Piemontese

Il primo che ne scrive non è il Compedium Salernitanum, ma Alessio Piemontese nel primo capitolo del suo libro De’ secreti. Il suo Liquore è un rimedio universale contro le malattie. Quando ho letto quelle pagine sono trasalito, tale era l’attinenza con la produzione di un gin. Alessio infatti macera in alcol da vino, distillato due volte, sei parti di ginepro unendolo con altre piante aromatiche compatibili con un gin moderno, la cui dose varia da due a quattro. La macerazione avviene separatamente in base alle caratteristiche delle piante e quando le distilla ottiene “un’acqua chiarissima come quella di fonte”. La cosa incredibile è che ovviamente Alessio non consiglia un abbinamento con una tonica, ci mancherebbe, ma ha ben chiaro il concetto voluttuario, consigliando di mescolare il liquore con della Malvasia dolce.

gin
L’Arte dello Spetiale di Francesco Sirena

Seguono altri documenti che confermano l’expertise italiana, come i Secreti di Isabella Cortese del 1561 con il suo rimedio “contra la peste ed il veleno” e L’Arte dello Spetiale di Francesco Sirena con la sua “acqua balsamica”, di qualche anno dopo. Tutte queste ricette vedono la presenza del ginepro in maniera importante e sono tutte ottenute macerando le piante nell’alcol per poi distillare a bagnomaria. La prima ricetta di Isabella Cortese, fra l’altro, potrebbe essere la prova che la ricetta di un botanical gin abbia risalito l’Europa seguendo la diffusione della peste, ricordando che la tradizione vuole che Franciscus Sylvius lo abbia prodotto nel 1614.

Inserisco nel libro anche altri testi di farmacopea italiana e tutta la letteratura dei liquoristi da Rossi a Sala, passando da Castoldi, i veri maestri che hanno influenzato in maniera determinante il nostro sapere. Un vero libro sul gin italiano dunque. Infine, un altro aspetto importante: rispetto alla maggioranza dei testi, parlo diffusamente del metodo produttivo e della distillazione, temi sui quali tengo anche dei seminari, poiché spesso c’è molta confusione sul procedimento di lavorazione e di taglio di teste e code. Spero, pertanto, di aver fatto finalmente chiarezza.

Quanto conta il territorio per il gin italiano?

Moltissimo, siamo il Paese con il più alto indice di biodiversità. Lungo lo Stivale abbiamo una tale abbondanza di principi aromatici che ci permettono di personalizzare i nostri gin in modo originale, ma assolutamente corretto. Potremmo produrre e personalizzare gin all’infinito, evitando soluzioni estremamente fantasiose, che ultimamente mi sono venute alle orecchie.

Come spieghi il boom del gin?

Non deve stupire. Nel boom del gin di inizio Novecento quasi la metà di tutte le distillerie italiane, circa 2.000 erano quelle iscritte all’albo, produceva un gin, normalmente un compound. Quindi avevamo probabilmente un migliaio di gin dei quali però non abbiamo più traccia. Ciò non deve stupire: abbiamo almeno un ventina di produttori di vermouth di fine Ottocento premiati a esposizioni mondiali dei quali non ci rimane più nulla, se non la citazioni sugli albi professionali. In Vini e Liquori d’Italia di Renato G. Dettori del 1953 si scopre come il gin fosse uno dei fiori all’occhiello della produzione italiana del dopoguerra. Tutte le aziende aderenti all’unione industriale dell’epoca produceva un gin. Al fondo del testo c’è un elenco ben fornito e di alcune bottiglie si trova anche la foto.

Vini e Liquori d’Italia di Renato G. Dettori

Oggi le distillerie attive sono circa 100 e ci sono poco più di 100 gin italiani sul mercato. Non è un boom, semplicemente ogni realtà produttiva ha interpretato il tema. In fin dei conti è semplice da produrre, soprattutto nella versione compund, non necessita di invecchiamento, ha un ottimo margine e non impegna molti capitali. Inoltre, permette di lavorare con la fantasia e lo story telling, che sia di territorio o di tradizione. Un’occasione che nessuno vuole perdere.

Quali sono stati i testi (o fonti) che hanno influito maggiormente sulla tua riscoperta del gin italiano?

Ho più di cento testi storici a casa e, escluso il De Secreti che contiene ancora qualche sorpresa, direi le pubblicazioni di fine Ottocento. I libri di liquoristica, dal primo ricettario piemontese di Umberto Re, fino a Sala, Rossi, Cioffi, Salani, Castoldi e l’autarchico Vandone, contengono già gli elementi del gin moderno e della filosofia italiana della produzione di qualità influenzata dalle spezie coloniali e dal territorio italiano.

Nel libro citi anche il libro Saper Bere (1974) scritto da Luigi Marinato e Franco Zingales, il maestro di tutti noi “bargiornalisti”. Cosa ha rappresentato Zingales per te?

Durante i miei seminari apostrofo benevolmente Zingales perché fu proprio lui nel suo Saper Bere a divulgare la teoria che fa risalire l’origine del gin a Franciscus de le Boë. Ma è un errore perdonabile, anche perché fu grazie a lui che si iniziò a parlare in maniera professionale delle origini dei distillati.

gin VANDONE
Manuale del liquorista di Edoardo Vandone

Nei suoi libri c’è la voglia di lavorare sulla storia della merceologia. Grazie ai suoi lavori cessò l’idea di libro concepito come semplice raccolta di ricette di cocktail da eseguire in maniera asettica. Il barman ebbe finalmente in mano uno strumento per capire la produzione di un distillato e, soprattutto, perché quel distillato era arrivato fino a noi. Non dimentichiamo, inoltre, che il libro con la storia dei singoli cocktail diede ai barman la possibilità di intrattenere il cliente in maniera completamente diversa. Per me Zingales è stato fondamentale, non per nulla ho divorato i suoi libri quando iniziai a fare il barman e quando decisi di scrivere chiamai il mio libro Saperebere. Un omaggio al papà del giornalismo di settore, nonché ispiratore del mio progetto. Unire storia e cultura del cocktail e dei distillati fu un’intuizione geniale, che io sviluppai soprattutto a scuola, per interagire e interessare gli alunni degli istituti professionali.

Alcuni si lamentano dicendo che c’è un’inflazione di gin italiani. Cosa ne pensi?

Io stesso produco un gin e dico che più siamo, meglio stiamo, a patto che non si raccontino favolette e story telling che al confronto la leggenda dell’unicorno è credibile. Sarà il mercato a decidere. La ruota gira e la storia della liquoristica è fatta di corsi e ricorsi. Fra dieci anni vedremo chi rimarrà.

Dici che siamo pronti per la Doc gin italiano?

Sono abbastanza ferrato in disciplinari, avendo partecipato ai lavori sul Vermouth di Torino, e credo che sarebbe quanto mai complesso. Su che basi fondarlo? L’uso esclusivo di ginepro italiano? Difficile vista la penuria e gli andamenti stagionali. Idem dicasi per le altre piante. Magari si potrebbe dare una prelazione al loro uso, nel senso che se utilizzi la menta non puoi comprare quella cinese, ma devi acquistarla a Pancalieri. Uso di basi alcoliche distillate da vino o cerali italiani? Lieviterebbero i costi rendendo tutto il gin italiano fuori mercato. L’unico modo sarebbe di creare la categoria “Superiore”, con tirature limitate e rispettando quanto detto precedentemente, lasciando i gin da lavoro liberi da ogni vincolo. In questo modo si certificherebbe l’eccellenza e il relativo costo superiore.

gin alambicco Parmentier
Schema di una distilleria di acquavite del XVIII secolo

Concludo con una riflessione. Sono stato di recente all’Imbibe di Londra, dopo aver saltato la precedente edizione. A distanza di due anni ho visto, giusto per fare un esempio su tutti, tantissimi gin rosa, aromatizzati con gambi di rabarbaro, fragole, arance rosse e lamponi. Il rischio che vedo è una contaminazione esagerata e una estremizzazione del gusto, dove si contraddice il disciplinare del gin. A questo punto sarebbe auspicabile un richiamo ufficiale dell’Europa al disciplinare. Non dico di ritornare al solo London Dry, sarebbe impossibile ripartire dal solo alambicco a caldo, ma di rispettare i canoni gustativi. Il ginepro spesso è un comprimario. Ma nella legislazione si parla di gin come di distillato di ginepro (ovvio che debba profumare di ginepro) e non di botanical gin che invece non è regolamentato. Questa contaminazione con altri principi aromatici accade più raramente nel gin italiano, ed è una gradita sorpresa, a patto di non essere smentito domani. Siamo stati più rigorosi degli spagnoli che hanno prodotto gin al mango ed alla fragola fin da subito, e degli inglesi che hanno seguito l’onda. Abbiamo lavorato con pigne, mirto, agrumi e altre piante assimilabili ai profumi del ginepro, senza snaturare la sua balsamicità. Noi italiani siamo più tradizionalisti, ancora una volta il vermouth a dimostrazione, e siamo stati molto attenti a lavorare sul territorio mantenendo comunque il ginepro come caposaldo.

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