Essere vintage, ma restare sulla cresta dell’onda; non assecondare le mode, ma rimanere tra i locali top; ripudiare l’innovazione ma venire acclamati dal pubblico, nazionale ed internazionale. In quanti sarebbero capaci di farlo? Noi, siamo certi, ben in pochi i locali in grado di mantenere certi standard. Uno di questi è l’Harry’s Bar a Firenze, un locale che vanta ormai ben oltre mezzo secolo di vita.
A raccontarci la sua storia, perché se si parla di locali così è impensabile non accennarla, è Thomas Martini, bar manager e collaboratore nella gestione del locale, che ha alle spalle, nonostante la giovane età, una lunga esperienza nel settore.
«Che legame c’è tra questo Harry’s Bar e gli altri che ci sono nel mondo?». Thomas ci sorride e ci dice che è la domanda che più spesso si sente fare e intanto comincia a raccontarci di questa gloriosa insegna: «In verità, tra i vari Harry’s Bar non esiste una relazione, o meglio, Harry’s Bar non è un trade mark, né una catena di esercizi. Ognuno di essi vive di vita propria e ha proprietà differenti. Gli unici due legati da un fil rouge sono il nostro e quello di Venezia che Giuseppe Cipriani inaugurò nel 1931. Fu proprio Cipriani qualche anno dopo, nel 1952, a suggerire al giovane amico Enrico Mariotti, che era in procinto di aprire un bar a Firenze e che era rimasto affascinato dall’Harry’s Bar di Venezia, di prendere spunto dalla sua idea e di chiamare il bar nella stessa maniera».
Servizio classico
L’Harry’s Bar a Firenze si sviluppa su due piani: il piano terra dove si trovano il bar e il ristorante, e il piano superiore destinato a eventi privati, e offre un ampio dehors che si affaccia su uno dei lungarni, il Vespucci, tra i più affascinante della città. Quando si entra, si viene accolti da camerieri che sono spesso anche barman, in modo tale che quasi tutti possano sostituire chi presidia il piccolo bancone di legno che si trova all’entrata, in papillon e giacche doppio petto color latte e menta, nella bella stagione, o in giacche bianche, sempre doppio petto, in inverno. I tavoli e le sedie, come richiesto dallo stile Harry’s Bar, sono piuttosto piccoli, illuminati da lampadari di Murano e ricoperti da tovaglie color rosa cipria. «Come da firma Harry’s - dice Thomas -, qui è il cliente a dover essere la stella più luminosa e più grande. Niente deve sopraffare la sua figura e tutto deve farlo sentire come il protagonista indiscusso. Il servizio è impostato sullo stile in uso nei grandi hotel, ma dalla metratura contenuta. L’Harry’s Bar è come un club, un luogo frequentato spesso da habituè che qui si sentono a casa». La carta proposta all’Harry’s Bar di Firenze oggi conta ben 90 drink e porta la firma di Thomas Martini che nel momento del suo arrivo, sei anni fa, volle ampliarla a seguito di un’importante ricerca che puntava a delineare una vera genealogia della mixologia mondiale. Un posto a sé occupano tre cocktail particolari, legati a tre Harry’s Bar che più degli altri hanno lasciato il segno nella storia degli Harry’s: il Bellini, che deve a Enrico Mariotti la versione con la polpa di pesca gialla, e legato, quindi, all’Harry’s Bar di Firenze, il Cocktail Roger inventato dal primo barman dell’Harry’s Bar di Venezia, Ruggero Caumo detto “Roger”, ed infine il cocktail French 75, creato da Harry MacElhone nel 1925, patron dell’Harry’s New York Bar di Parigi. I cocktail vengono serviti in bicchieri di cristallo di varie dimensioni, mentre alcuni trovano spazio in particolari coppe in argento. Ogni drink è accompagnato da un piccolo benvenuto dalla cucina, come formaggio fritto, mortadella o salame.
Cucina evergreen
La cucina è un caldo tuffo nel passato, con lo sporzionamento a tavola tipico degli anni ‘50 e con alcuni evergreen che sono sinonimo di Harry’s Bar. Parliamo, ad esempio, del carpaccio proposto con “la salsa carpaccio” inventata da Cipriani e rigorosamente segreta, oppure i taglierini gratinati al Parmigiano con prosciutto alla Harry’s, altro classico senza tempo, oppure, ancora, il cocktail di gamberi o, infine, l’intramontabile Club Sandwich.