Quando si dice “le dimensioni contano”. È proprio sull’essere un cocktail bar bomboniera - solo 16 metri quadrati, il più piccolo di Roma - che si basa il format di Lonely Avenue. «Non vendiamo cocktail, vendiamo connessioni», racconta il patron Christian Comparone (Donnie Boy per gli amici). Se non fossero concentrati in uno spazio ridotto, con un numero di sedute che non può superare le dieci e due bartender a occuparsi del servizio (Comparone stesso e il suo sodale, quasi gemello, Maurizio Bernardini), non ci sarebbe la possibilità di sentire la loro storia. «Questa era la gioielleria di mio nonno - ricorda Comparone -. Piccolissima, ma conosciutissima non solo nel quartiere, perché mio nonno è quello che ha inventato il ciondolo a forma di testa di lupa tanto amato dai romanisti, con un rubino al posto dell’occhio».
Per la cronaca, il quartiere in questione è Testaccio che da un lato è uno dei più veraci della capitale (protagonista della bella storia della Cortellesi “C’è ancora domani”), dall’altro uno dei più amati anche dai turisti, che approfittano delle tante case vacanze disseminate fra i palazzoni. «Una scommessa, per anni ho utilizzato questo spazio per fare formazione, ma vedevo anno dopo anno come cambiavano le persone che ci passavano davanti, così ho preso il coraggio di aprire al pubblico, dopo un periodo in cui avevo lavorato solo con i tesserati». A seconda dell’orario si alternano le provenienze della clientela: all’apertura ci sono gli stranieri per un drink prima di cena, poi loro vanno a mangiare e arrivano gli italiani per l’aperitivo, quindi di nuovo gli stranieri per il drink dopocena. «In pratica c’è un ricambio continuo, noi suggeriamo di prenotare, ma è una strada di passaggio fra le varie trattorie di Testaccio, quindi chi passa si affaccia e se c’è posto si ferma», spiega Comparone.
La drink list? Di fatto non esiste perché tutto si basa sull’ascolto e inizia con un “cosa ti piace bere?”. Snella la bottigliera, zero pre-batch, poche preparazioni solo sul fresco di frutta e verdura: «Giochiamo con quel che abbiamo in casa, ma non senza mettere al centro il cliente, specialmente se è un cliente di ritorno». Dalle sue esperienze nella miscelazione d’hotel (l’ultimo passaggio era stato al Rhinoceros), Comparone ha mutuato qualche mossa astuta, come quella di segnarsi sempre che cosa ha bevuto il cliente. «A volte anche cosa mi ha chiesto, se non ho potuto accontentarlo. È il caso di un ospite del quartiere che era già venuto un paio di volte, chiacchierando mi aveva detto che non poteva più bere whisky perché aveva scoperto di essere celiaco. Gli ho trovato un’etichetta gluten free e gliel’ho fatta assaggiare appena è tornato».
Qualche attenzione, nonostante gli spazi risicati, anche nel reparto food. I dry snack sono selezionati con cura, come le patatine dal sale e aceto, le palline di Pretzel fatte su richiesta da un produttore artigianale, le mandorle salate e zuccherate mixate. Su un piccolo espositore qualche chicca in scatola, ovvero conserve ittiche o veg di provenienza soprattutto italiana e portoghese: «Le tengo per chi viene e ha fame, ma qualcuno viene a chiedermi talvolta di comprare solo una lattina. Non era quello lo scopo, ma sono sempre contento di aver fatto felice un cliente».