A fine luglio Franco Tucci Ponti ha lasciato I Mirador. Questa è la nostra intervista prima della sua decisione di abbandonare il ruolo di bar manager dello skybar di 21 House of Stories Navigli
«Milano è piena di posti che fanno da bere molto bene, io preferisco che sia l’accoglienza a fare la differenza. E l’accoglienza da noi è t-shirt a righe, zero formalismi, quasi vietato dare del “lei”, libertà dei nostri ragazzi nell’essere sé stessi, dalle spille appuntate al petto alle sneakers, per capirci». Parola di Franco Tucci Ponti, 50 anni il prossimo gennaio, uno dei volti storici del bartending milanese. Volevamo fare un’intervista a bordo piscina molto chic, con i navigli e il tramonto su Milano a fare da sfondo, a I Mirador, la terrazza di 21 House of Stories Navigli, dove appunto Tucci Ponti è bar manager. Invece finiamo in un angolino, seduti davanti a una fioriera; un passaggio di servizio dove lo staff prepara e smista i vassoi carichi di finger food. Vicino alla piscina la musica disturbava la registrazione, ma almeno siamo accanto ai ragazzi di cui ci parla Franco.
Una reputation da costruire
L’occasione è il party che inaugura la bella stagione de I Mirador, la doppia terrazza panoramica con - appunto - piscina e vista top sulla città. Franco va strappato all’intensa attività di pubbliche relazioni che la serata impone. «Sto lavorando molto per la reputation dello sky bar», spiega. Saluta vip e amici, si siede a bordo… fioriera con noi, a raccontare cosa ha capito di nuovo e di buono dell’arte dell’ospitalità in questo primo anno abbondante da bar manager al 21 House of Stories, “hub di hospitality ibrida” con hotel di lusso, coworking, bistrot e sky bar. Dove si mescolano con classe business meeting in giacca e cravatta e Tinder date.
Pacifica convivenza
«Se hai impostato uno stile di accoglienza professionale e easy, entro i giusti confini, allora quelle due anime possono convivere», spiega Franco. Ovvietà? «No. L’ospitalità oggi è fatta di genuinità. Quando ho iniziato io a lavorare i tatuaggi erano ancora una notizia nei bar d’albergo e nelle location esclusive, oggi sono sdoganati (e io stesso sono tatuato dappertutto). È giusto che ogni luogo abbia le sue regole, che costruisca il suo immaginario. Però non esiste un solo stile vincente, esiste la capacità di valorizzare l’identità che ci si è scelti. Guarda che signore è Ago Perrone, guarda quanto è diverso quello che ti trasmette lo staff di Sips, mettili accanto ai ragazzi di Monica Berg al Tayēr +Elementary e a quelli del Paradiso. Sono tutti al top e sono tutti diversi». Il trucco è non far percepire barriere, anche in uno skybar lussuoso. «Vogliamo che i ragazzi siano rilassati e sorridenti. Non vogliamo assolutamente prendere in giro l’ospite con overprice che non hanno senso. Nel costruire la nuova drink list ci siamo continuamente chiesti “tu te ne berresti un altro?”. Se la risposta era sì, allora quel drink funzionava».
Drink list in stile "tiki mediterraneo"
Appunto, la drink list. Sei rivisitazioni di classici, improntate a uno stile che Tucci Ponti chiama "tiki mediterraneo". Ossia: «Ispirazione tiki riadattata con ingredienti del nostro mare e del nostro clima. E italiani. Il segreto è conoscere bene i prodotti: se sai che in Italia ci sono, invento, 15 diverse varietà di arancia, potrai pensare di far bere 15 proposte diverse, o quasi. E questo vale per il limone, per le olive…». Qualche esempio: il Jungle Tomato con Vodka Ketel One, Rum Zacapa 23, Fusetti, Yuzu, succo di pomodoro, succo di pompelmo, succo d’ananas salato; il Rose Negroni, Negroni alla rosa (molto presente al naso) con Tanqueray n. Ten, Campari, Mancino Rosso; il Blue Hawaiian, con Rump@blic White Blend, succo d’ananas, cocco, Blue Curaçao e succo di lime. Ai due banconi bar delle terrazze Mirador i signature vanno dai 16 ai 18 euro, lo Spritz a 10 euro, le due proposte alcohol free a 14 euro. «Proponiamo anche uno special a cadenza settimanale, abbiamo avuto buon riscontro con un Manhattan con gelato alla crema e ciliegie, per esempio. E poi, i classici».
In piscina, intanto, galleggiano barchette rosa. Un selfie dopo l’altro, gli ospiti fanno su e giù tra i due livelli della terrazza. Il nome "I Mirador" richiama appunto le omonime terrazze iberiche, che hanno rigorosamente vista a 360 gradi. Tucci Ponti parla e intanto fa il pr, salutando a distanza altri ospiti. «Sto poco dietro il banco e molto a contatto con il pubblico, posso permettermelo grazie al lavoro del mio secondo, Simone Molaro (ex Camparino, ndr), super preparato. Mi guarda lui le spalle». Franco guida un team di 16-18 persone, per uno skybar aperto dal settembre dello scorso anno e che ora punta a gestire fino a 250 presenze al giorno, aperto da aprile a ottobre tempo permettendo.
Imparare dall'esperienza e correggere gli errori: l'esperienza de I Mirador
Dopo un anno di esperienza si fanno inevitabili aggiustamenti. Gli chiediamo che cosa pensa di aver sbagliato e che cosa ha potuto correggere per migliorare il servizio. «Avevamo un’offerta food da ristorante, anche in terrazza, ma abbiamo deciso di dare importanza al ristorante Domenica e di puntare, qui sopra, su snack, piccola pasticceria salata e bite di ispirazione mediterranea. Quasi una piccola preview di quello che si può trovare al ristorante. Stuzzichini e snack sì, purché di qualità. Stesso discorso “meno e meglio” (questa viene fuori spontaneamente, lo giuriamo, anche se guarda caso richiama un tema che ci è tanto caro…) lo abbiamo applicato alla drink list. Lo scorso anno era più lunga, abbiamo deciso di proporre meno cocktail. E stessa filosofia sull’immaginario e sull’identità della location. Non vogliamo tirarcela, per essere chiari. Non esclusivi, ma inclusivi. Non vogliamo essere il “place to be”, non ci piacciono quei posti dove un ragazzo di 20 anni si sente fuori luogo».
A lezione dal fuoriclasse Vadrna
A proposito di ragazzi: Tucci Ponti vede il mezzo secolo. Inevitabile un bilancio, in questa fase della vita. «Ho iniziato da giovanissimo, ho scoperto che era l’unico modo per poter viaggiare ed essere indipendente. Mi sono laureato in Scienze politiche in Statale, poi via! California, Germania, Francia, poi sono rientrato nel 2001. Sono stato bar manager di Cuore e del bar della allora Piscina Argelati. Ho rilevato l’Atomic Bar nel 2005 e l’ho tenuto aperto, da titolare, fino al 2016. Nel mentre, nel 2013 vado a seguire una masterclass di Stanislav Vadrna, Global Brand Ambassador di Nikka, con l’amico Agostino Galli de L’Acerba. Vadrna basa tutta la sua visione sull’ospitalità e lì ho capito che dovevo fare qualcosa in più». Dopo altre esperienze, Tucci Ponti diventa docente alla Food Genius Academy, segue il The Doping Bar di piazza XXIV maggio fino al 2019, macina altre consulenze all’estero e, dopo lo stop per la pandemia, rientra in gioco al 21 House of Stories.
«Tre cose che ho capito gestendo un cocktail bar»
L’Atomic Bar resta l’esperienza più intensa della sua vita professionale. «Era un disco bar, con un bel contatto con i clienti. Lì ho capito che non basta dare bene da bere». E torniamo all’inizio della chiacchierata. «L’approccio con le persone, il lato umano, sono molto più importanti». Altri consigli per i colleghi, magari lezioni tratte proprio dall’esperienza con l’Atomic? «Gran parte degli stimoli arriva dai clienti e dagli amici della industry. Coltivate pochi contatti, ma che siano buoni. Sono importantissimi. Da ultimo: zero pippe da barman. Io ancora oggi leggo, studio naturopatia, vorrei diventare mastro distillatore e imparare altre cose nuove in ambito tecnico. Ma al bar e con i clienti bisogna avere un approccio pratico».