La prima volta che ho incontrato Samuele Ambrosi fu in occasione del Trofeo Internazionale del Calvados. Normandia, anno 2008. E fu allora che imparai come i barman non siano dei semplici miscelatori di liquidi e quanto dentro ogni bicchiere ci fosse studio, letture, ricerche, tentativi andati a vuoto… Tutto questo me lo insegnò proprio Samuele Ambrosi che quel trofeo, non a caso, lo vinse a mani basse.
Allora Samuele, mi racconti come è iniziata la tua avventura nel bartending?
La mia famiglia ha un’attività di ristorazione a Legnago in provincia di Verona e io fin da piccolo cercavo di aiutare i miei genitori dietro il banco per preparare le ordinazioni e lavare i bicchieri. Non ho idea di quanti bicchieri abbia lavato in quel periodo, un numero enorme comunque… La mia prima stagione invece l’ho fatta ad Asiago e avevo 15 anni! In realtà sono sempre stato attratto dalla miscelazione e tenevo d’occhio da tempo lo shaker di mio padre. Un giorno mi chiesero di fare un aperitivo così lo presi di nascosto e… beh, avevo visto il film “Cocktail” con Tom Cruise pertanto ritenevo di essere già a un livello semiprofessionistico. Misi del ghiaccio e forse un Crodino nello shaker e iniziai ad agitare nel modo più impacciato possibile. Lo shaker praticamente esplose e inondai tutto ciò che mi circondava. Decisi allora di imparare sul serio….
Quali sono state le tappe più importanti della tua carriera?
Ebbi un’occasione importante, che presi al volo. Ovvero il Badrutt’s Palace Hotel di St. Moritz. Tre stagioni paragonabili al servizio militare, ma fondamentali. Regole rigidissime, protocolli precisi, qualità ai massimi livelli. Imparai a pormi con i clienti e il savoir faire e perché il cliente è sopra ogni cosa. Principi, sultani, attori di Hollywood, magnati dell’industria e della finanza. Tra tutti però, quello che mi colpì maggiormente fu l’Avvocato Agnelli. Poi iniziai a girare il mondo o meglio a viverlo. Le tecniche, le ricette, gli abbinamenti, quelli li ho imparati studiando, non viaggiando. Le esperienze all’estero mi hanno fatto crescere come uomo e come persona. Viaggiare vivendo il luogo che si visita è la scuola più importante che esista. Poi nel 2005 riuscii a raggiungere uno degli obiettivi più belli della mia carriera conquistando a Singapore uno dei concorsi più difficili al mondo: The Elite Bartenders Course JWC con annesso il podio più alto presso la South Asia Pacific Competition, a oggi unico italiano. Un’esperienza che non ripeterei per la sua difficoltà e l’impegno necessario, ma che ancora conservo nel cuore.
Sei considerato uno dei massimi esperti di gin in Italia. Quando è iniziata questa tua passione?
È iniziata cercando informazioni su questo poco considerato e sottovalutato distillato. Parliamo, ovviamente, di moltissimi anni fa e io non mi capacitavo di trovare libri e libri sul whisky, sul Cognac, sui liquori e nulla sul gin. Mi chiesi come fosse possibile che un prodotto così versatile e di “facile” bevuta non fosse adeguatamente documentato. Così scattò la scintilla della ricerca. In Italia non c’era ancora nulla e come primo acquisto d’impulso azzardato presi “The Dedalus Book of Gin” di Richard Barnett. Trecento pagine tutte in inglese. Mi misi a tradurre pagina per pagina e mi ci vollero sei mesi. Fu in quel momento che iniziai a raccogliere compulsivamente ogni tipo di informazione sul gin. Inoltre compresi che la mia sensibilità verso il distillato era condivisa anche dai miei clienti e che quindi collimava perfettamente con il mio business.
Il gin è decisamente molto popolare in questi ultimi anni. Pensi che possa restare ancora a lungo sulla cresta dell’onda?
Oggi il gin fa numeri impensabili molti anni fa. Ogni giorno sento chiaroveggenti che prevedono deadline, ricadute e nuove meteore del business. Io non ho questo dono, semplicemente posso fare delle constatazioni. La prima riguarda i numeri e trovo che sia naturale che dopo tanti anni ci possano essere curve e cali. La seconda è che, come sempre, si tende a dimenticare e non a metabolizzare. Il boom del gin ha letteralmente cambiato la percezione e la conoscenza del distillato. La clientela non sarà mai più ferma su tre brand che monopolizzavano la bottigliera come succedeva una volta. Oggi, tutti i bar del mondo hanno almeno 10 differenti etichette di gin e questo trend rimarrà di certo, magari con volumi più bassi. Infine, non dobbiamo dimenticare che il gin è il distillato che accontenta tutti, a differenza di whisky o Tequila, e che fa parte della storia del pianeta, del bere miscelato e dell’essere umano e, non ultimo, che è l’ingrediente principe del cocktail più bevuto al mondo.
Come vedi il mondo del bartending tricolore?
Finalmente la nostra professione inizia ad avere i riflettori puntati. Era ora. C’è una cosa che però molti sottovalutano: il barman non è semplicemente colui che realizza un cocktail. Fare il barman significa sapere di dovere sacrificare vita di coppia e tempo libero, significa studio e ricerca di nuove tecniche e nuovi bilanciamenti, significa viaggiare molto non per piacere, ma per confrontarsi e dare vita a nuovi progetti. Fare il barman significa lavorare sempre in piedi, sempre sorridendo, gestire risorse umane, fare network, fare business, ma sopra ogni cosa, significa superare le aspettative del cliente! Questo è essere un barman.