Un Martini a colazione per “The Maestro” Calabrese

Salvatore Calabrese, “The Maestro”, racconta la storia intima e segreta del Breakfast Martini. E i tre ingredienti necessari per creare un modern classic

Calabrese

«Un giorno mia moglie Susan, era prima mattina, mi guarda in faccia e mi dice: "Che brutta cera che hai. Dovresti fare una buona colazione. Te lo dico sempre". Il problema è che per me la colazione è un caffè e via. Non ho tempo da perdere. Lei di tutta risposta mi porta un toast con marmellata d’arance. Esattamente Wilkin & Sons Orange Marmalade Fine Cut. Dice: "Prendi e mangia che hai bisogno di energie". Io guardo lei e guardo il piatto. Dopo qualche minuto di attenta e scrupolosa osservazione decido di non accettare l’invito. Esco dalla stanza. Faccio qualche passo e torno indietro. In fondo, penso, quella marmellata potrebbe servirmi per preparare un buon cocktail. Era il 1996. Ai tempi lavoravo al The Library Bar del The Lanesborough. Uno di quei luoghi della Londra anni Novanta in cui si iniziò a riscoprire la cultura del cocktail».

È un Salvatore Calabrese gagliardo e in vena di ricordi quello che incontriamo. «Il Breakfast Martini diventerà popolare solo un anno dopo. Da poco avevo pubblicato il mio libro Classic Cocktails. Ero a New York, al Rainbow Club di Dale DeGroff, con the King of Cocktails di New York. Quella sera aprimmo il primo pop up bar della storia di Manhattan. Era un pop up bar prima ancora che il termine pop up bar fosse inventato. Per l’inaugurazione ci aspettavamo 400 invitati. E proposi a Dale il mio Breakfast Martini. «Che cosa? - mi rispose lui - E dove la troviamo tutta questa marmellata d’arancia?» In America ci sono supermercati dove trovi di tutto in versione extra large. Comprese latte da 3 kg di marmellata. Così uscimmo a fare la spesa. La serata fu un successo e tutto nacque da lì. Ne parlarono i giornali, compresi il New York Times e fu una delle prime grandi emozioni. Avevo fatto un Martini per tutti non solo per i veri-maschi. Un drink solo all’apparenza dolce, ma che all’assaggio si presenta fresco, agrumato e di buon corpo alcolico».

Gli ingredienti di un modern classic

Il drink ha le tre principali caratteristiche di quello che dovrebbe essere un modern classic. «Una struttura semplice (pochi ingredienti), una ricetta replicabile fatta di ingredienti facilmente reperibili a qualsiasi latitudine e un nome che conquisti. Non gli altri bartender, ma gli ospiti. Nella stragrande parte delle competizioni che ho giudicato ho notato che i cocktail vincitori si sono persi nell’oblio. Il motivo? Non rispettavano le tre regole di cui parlavo. Magari il naming era azzeccato, ma erano troppo complessi nella struttura e usavano un parafernalia di home-made o prodotti difficilmente reperibili. A questo si aggiunga un altro limite. Il drink non può diventare un modern classic se il metodo di preparazione è troppo elaborato. Chiunque deve essere messo in grado farlo. Anche a casa, non solo al bar». Così Salvatore Calabrese è diventato un simbolo, giocando sulla semplicità. Come nel caso di altri famosi modern classic da lui creati: Spicy Fifty, Campari Nobile o il Negroni Svegliato, solo per dirne qualcuno. «Il Breakfast Martini non è stato il primo né l’ultimo dei cocktail con l’aggiunta di marmellata. Oggi si sa che cocktail del genere erano già presenti negli anni Venti, Trenta e probabilmente anche prima. Marmalade Cocktail è un drink pubblicato nel 1930 nel celebre Savoy Cocktail Book di Harry Craddock. Ma quando l’ho creato non ero nemmeno al corrente. Non c’era la cultura dei cocktail books. E il mio libro sui cocktail classici fu tra i primi tributi alle grandi ricette del passato e ai barman che le avevano create». La popolarità di Salvatore Calabrese raggiunge livelli di anno in anno più elevati.
Tanto che il comune di Maiori in Costiera Amalfitana, città di origine del bartender, gli dedica dal 2015 una competition: The Maestro Challenge.

Il cocktail da Guinness e la liquid history

Tanto che Calabrese è diventato famoso perché con un suo drink è entrato nel Guinness dei Primati (2012) per il cocktail più costoso al mondo. Si tratta del Salvatore Legacy nato al Salvatore Playboy Club di Mayfair l’11 ottobre 2012. Fu venduto a 5.500 sterline ed era composto da 40 ml di Cognac Clos de Griffer Vieux del 1778, 20 cl liquore Kummel del 1770, 20 ml Curaçao Dubb Orange del 1860 e due gocce di Angostura Bitters del 1900. «In realtà non volevo semplicemente creare il cocktail più costoso al mondo e detto tra noi, considerando gli ingredienti, il prezzo di vendita avrebbe potuto essere il doppio. La mia intenzione era di creare il cocktail più longevo al mondo. Sommando la data di produzione degli ingredienti arriviamo a 7.318 anni. Quello è il record in cui mi riconosco».

Calabrese la chiama Liquid History, creare cocktail d’epoca con ingredienti d’epoca. «L’idea mi venne a metà degli anni Ottanta ai tempi in cui lavoravo al Dukes Bar. Un piccolo posto in hotel molto elegante. C’erano solo sei tavoli e quando arrivai gli incassi erano davvero miseri. Non potendo lavorare sulle quantità decisi di puntare sulla qualità. Mi resi conto di essere circondato da bottiglie storiche che nessuno aveva mai utilizzato e a un certo punto feci questa riflessione: puoi leggere la storia, puoi perfino toccarla, ma non puoi assaggiarla. Allora perché non dar da bere sorsi di storia? Anche se il general manager e il food&beverage manager mi davano del matto, iniziai a proporre uno shot di Cognac Hine del 1815 a 250 sterline. La cosa funzionò. La prima settimana vendetti una bottiglia intera e da 500 sterline di incassi settimanali passammo a 10.000. A quel punto - sorride sotto i baffi - anche il management dovette ricredersi».

Dal 12 aprile 2018 Salvatore Calabrese ha cambiato indirizzo. Cura il Donovan Bar nel lussuoso quartiere di Mayfair all’interno del Brown’s Hotel, struttura fondata nel 1837. Con lui una squadra di affiatata di bartender. «I miei ragazzi sono sempre stati fondamentali per lo sviluppo delle mie creazioni. Io do le idee, da qui la definizione “The Maestro”, ma poi sono i miei allievi a svilupparle. Sono loro il futuro. La loro ricerca è fondamentale. Io non saprei neanche dove partire con Rotavapor o un altro macchinario. Loro usano queste macchine in modo straordinario e funzionale al servizio. Ci sono bartender nel mio team come Maurizio Palermo e Federico Pavan. Non li trovate sui social, parlano poco, ma hanno il genio dentro di loro. A ragazzi come loro devo tanto. Senza grandi allievi, non sarei mai potuto diventare un buon maestro».

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