Sempre più forte l’amore degli italiani per la bionda. A dirlo i numeri dell’Annual Report di AssoBirra, che fotografa l’andamento del settore nel 2022. Un anno molto positivo come mostra il segno più che caratterizza tutti gli indicatori, consumi, produzione, export e anche importazioni, con risultati addirittura superiori a quelli raggiunti dal periodo pre-pandemico che avevano avuto il loro culmine nel 2019, finora considerato l’anno dei record (leggi Report Assobirra, nel 2019 numeri record per la birra).
E, allora, guardiamoli un po’ più nel dettaglio questi numeri. Il primo dato molto positivo è quello della produzione, che lo scorso anno ha raggiunto i 18,4 milioni di ettolitri, con una crescita del 3,3% sul 2021, quando era stata pari a 17,8 milioni di ettolitri (17,2 hl nel 2019).
Boom dei consumi con la ripresa del fuoricasa
Ancora più sostenuto l’andamento dei consumi, pari a 22,3 milioni di ettolitri, in crescita del 6% sull’anno precedente e di oltre di un milione di ettolitri rispetto al 2019. Una crescita spinta dalla ripresa del fuoricasa, dove i consumi hanno fatto un balzo di ben il 20,9% rispetto al 2021, tornando a coprire il 35,8% dei consumi nazionali (la quota era pari al 32,6% nel 2021), quota in linea con le proporzioni pre-covid. Calate invece le vendite nella grande distribuzione, - 4,7%, e quindi del suo peso sul totale, passato dal 67,4% del 2021 al 64,2% del 2022.
Altro motivo di orgoglio per il settore è il trend delle esportazioni, pari a 3,8 milioni di ettolitri, quota che ha sfiorato il record raggiunto nell’anno precedente, quando i milioni di ettolitri venduti all’estero sono stati 3,9. Quasi la metà del totale dell’export viene realizzato nel Regno Unito (48,2% contro il 46,9% del 2021). Secondo mercato è quello Usa (9,1% a fronte dell’8,6%del 2021), seguito da Francia e Paesi Bassi (al 4,3% ciascuno) e Albania (4,2%).
Crescono, o meglio, continuano a crescere anche le importazioni, con tassi decisamente più sostenuti rispetto a quelli della produzione nazionale. Gli acquisti dall’estero sono stati pari a 7,8 milioni di ettolitri, in aumento del 10% rispetto ai 7,1 del 2021 e i 6,4 del 2020, superando anche il massimo raggiunto nel 2019, ovvero 7,4 milioni di ettolitri.
I nodi da sciogliere
Numeri che raccontano di un settore che gode di buona salute, che sta tornando a crescere dopo la brutta caduta dovuta alla pandemia (leggi Birra in cerca di rilancio: i numeri e le proposte di AssoBirra) e che costituisce un tassello importante del sistema agroalimentare italiano. La filiera della birra occupa infatti quasi 120.000 operatori in circa 850 aziende, crea un valore condiviso di 9,4 miliardi di euro (pari allo 0,53% del Pil) e soprattutto, «unica fra le bevande da pasto» - sottolinea il report versa all’erario oltre 700 milioni in accise annue che vanno a sommarsi alla contribuzione fiscale ordinaria.
Per continuare su questa strada, e riprendere e consolidare il trend di crescita, si sottolinea nel report di AssoBirra, occorre però affrontare e risolvere alcune problematiche. La prima è rappresentata dalla pressione fiscale, «che grava ingiustamente sulla birra rispetto ad altri comparti e ne compromette la competitività rispetto a tassazioni estere fino a quattro volte inferiori rispetto a quella italiana». Da qui la richiesta al governo di una riduzione progressiva e strutturale, un intervento «più che mai necessario in una congiuntura economica come quella attuale caratterizzata da aumenti di costi di materie prime ormai strutturali, volatilità e alti livelli delle utility, che da tempo ormai intaccano la redditività delle imprese lungo la filiera brassicola». Un intervento, sottolinea l’associazione, indispensabile per consentire alle aziende della filiera di tornare a dedicare risorse economiche e generare una crescita sostenibile nel tempo.
Altra minaccia che incombe sul settore è rappresentata dalla risoluzione approvata all’inizio del 2023 dall’Unione Europea che ha permesso all'Irlanda di adottare etichette allarmistiche su vino, birra e liquori. L’applicazione di tali warning label, oltre che ingiustamente penalizzante, secondo AssoBirra è anche «incoerente rispetto a uno stile di vita e una cultura alimentare improntate alla moderazione, che negli ultimi decenni si sono tradotti in una fortissima riduzione dei consumi di alcol, posizionando l’Italia come il Paese con il minor consumo pro capite in Europa». Proprio a tale riguardo il report sottolinea come «l’esempio italiano mostra con evidenza come cultura alimentare e stile di vita contribuiscano a un livello di consumo moderato assai più divieti o proibizioni; da decenni i produttori di birra italiani hanno incoraggiato e agevolato tale tendenza con prodotti a basso tenore alcolico, di alta qualità manifatturiera, con elevate proprietà nutrizionali e legami profondi con stili e tradizioni territoriali».