La presentazione di molti prodotti al recente Beer Attraction a Riminifiera ha riproposto all’attenzione degli operatori la tipologia birraria Ipa (India Pale Ale) che vanta originali caratteristiche organolettiche legate a un maggior indice di amaro e alcolicità. Abbiamo selezionato le 28 più recenti e interessanti specialità, italiane e internazionali.
Ripercorriamo alcune tappe di questa birra che vanta un trend di alti e bassi. A partire dal Seicento, con l’aumento dei traffici commerciali della Compagnia delle Indie tra la Gran Bretagna e i porti di quelle che stavano diventando le nuove colonie orientali inglesi (India, Sud Est asiatico), diventò necessario assicurare agli equipaggi e ai soldati di Sua Maestà Britannica razioni di birra che non si alterassero durante la navigazione per l’umidità e gli scossoni delle navi e potessero essere consumate anche una volta sbarcati a terra. La soluzione dei mastri birrai dell’epoca fu abbastanza semplice, impiegando nella brassatura della birra ad alta fermentazione una maggiore quantità di luppolo, conoscendone le qualità conservanti, antiossidanti e antisettiche, oltre che digestive e rilassanti. L’aumento di amaro veniva poi compensato con una maggiore quantità di zuccheri del malto che ne aumentava anche il grado alcolico durante la lunga maturazione in cantina di ben 18 mesi.
Era nata così, per motivi molto pratici legati ai viaggi di trasporto, una nuova tipologia birraria conosciuta come birra del marinaio con il nome October Ale per la lavorazione che cominciava in autunno e che ha preso ufficialmente il nome India Pale Ale (Ipa) solo nel 1803 per quella che era diventata la principale destinazione delle rotte coloniali inglesi dell’epoca.
Il maggior livello di amaro e di grado alcolico della nuova tipologia piacque anche ai residenti britannici in Madrepatria, fino a diventare tra le proposte birrarie più richieste a metà Ottocento, prodotta dalla maggior parte delle birrerie inglesi, irlandesi e scozzesi come Hodgson, Allsopp e Bass. Ma, con l’affermazione delle birre chiare a bassa fermentazione, più facili da bere (anche in quantità) e più economiche, le Ipa passarono di moda e con loro la tecnica di produzione del dry hopping (infusione di luppolo a freddo)
Una nuova vita
La ricetta delle Ipa si è presa la propria rivincita a cominciare dagli Anni Settanta con il “rinascimento” delle birre artigianali negli Stati Uniti, utilizzando i luppoli locali, spesso molto aromatici come Amarillo, Cascade, Centennial, Citra, Magnum, Mosaic, Simcoe che regalavano alle birre insoliti gusti agrumati tipo pompelmo e cedro o balsamici come resina di pino. In questo modo le Ipa sono diventate il prodotto-bandiera dei piccoli produttori, anche per differenziarsi dalle leggere american lager delle multinazionali Usa. Una ancor più forte luppolatura delle birre dava poi vita a tipologie come Double o Imperial Ipa, mentre con l’uso di malti scuri e di frumento venivano rispettivamente create Black Ipa e White Ipa. La rinascita delle Ipa americane ha infiammato così la fantasia dei maestri birrai europei meno conformisti, facendo nascere nuove ricette in Belgio, Germania, Gran Bretagna, Danimarca, Norvegia e Italia, allargando il “contagio” anche in Giappone e America Latina.
A caratterizzarle è l’indice di amaro Ibu (International Bitterness Unit) che viaggia intorno a quota 40-50 (con 7% alc), contro un indice di 12 Ibu di un’american lager (con 5% alc) o di 20 Ibu (con 5% alc) di una pils tedesca o olandese. Una scelta vincente che ha fatto superare ai birrifici artigianali Usa (craft brewery) la quota di mercato del 16% (dati Adv 2016). La tendenza non è passata inosservata, tanto che i primi a scommettere sulle potenzialità delle Ipa sono stati gli importatori italiani specializzati.
Nel ricco catalogo Ales&Co contiamo infatti la scozzese Brewdog Elvis Juice e la danese Garden of Eden; Biscaldi importa dalle Hawaii la Kona Hanalei; F&G ha selezionato la gamma californiana Coronado (Beach Breack, Stingray, Islander e North Island) e le americane Titan Great Dividet e Speakeasy Big Daddy e Double Daddy Imperial in lattina. Oltre a importatare l’irlandese O’Hara’S 51.st State e la californiana Sierra Nevada Hop Hunter, Interbrau produce Ipa per la gamma Antoniana. Anche le grandi multinazionali hanno cominciato a seguire con interesse questo trend.
Luppoli protagonisti
Due sono state le strade. C’è chi ha pensato di acquisire quote o stringere accordi con microbirrifici americani. Per esempio, Heineken ha rafforzato il portafoglio prodotti del distributore specializzato Dibevit con le specialità californiane Lagunitas Brewing (Ipa, Sucks, A Little Sampin’ Sampin’) e, attraverso il birrificio lombardo Hibu, distribuisce anche White Ipa Dama Bianca. Una doppia strada invece è stata scelta da Carlsberg che, da una parte importa e distribuisce specialità come Brooklyn East Ipa, dall’altra produce in casa Angelo Poretti 9 Luppoli American Ipa (55 Ibu). In tutti i casi la passione di Carlsberg Italia per i mix di luppoli è nota da tempo, visto che l’intera gamma Angelo Poretti comprende: 3 Luppoli, 4 Luppoli (Lager e Bio), 5 Luppoli (Bock Chiara), 6 Luppoli (Bock Rossa), 7 Luppoli (4 specialità stagionali: Affumicata, Fiorita, Esotica, Mielizia), 8 Luppoli (Gusto Tostato e Gusto Affumicato), 9 Luppoli (American Ipa, Belgian Blanche), 10 Luppoli (Rosé).
Diversi i birrifici italiani entrati nel settore Ipa come Birra del Borgo, Toccalmatto ed Extra Omnes. Tra le proposte più recenti: la veneta Theresianer India Pale Ale; le piemontesi Baladin Rock’n’Roll con aggiunta di pepe e Baladin Open Gold; le lombarde Easter Egg (Uovo di Pasqua) di Birrificio Rurale e Birra Lira Agricoltore di Davide e Kekko Silvestri, ispirata alla storica monetina da 10 lire.
Consigli di servizio
Considerate le caratteristiche comuni (amaro accentuato, note agrumate, buon grado alcolico), le Ipa vanno abbinate preferibilmente con snack o alimenti dai gusti decisi, reggendo bene l’acidità del pomodoro presente nella maggior parte delle pizze. Bene anche proporle con taglieri di salumi e formaggi stagionati o con spiedini di carni rosse o di pecora. Considerato il bouquet intenso, meglio servirle a 6-8 °C in bicchieri tronco-conici dal bordo svasato con cappello di schiuma.